Fausto Paravidino (1976) è un drammaturgo cui hanno arriso un buon successo sia coma autore teatrale, sia come regista e interprete di film e fiction televisive. Un successo che non sempre ha corrisposto a prodotti di altissima qualità. Si veda questo Exit, che mette in scena, nell’arco di un’ora e mezzo abbondante, la vita di due coppie suddividendone i momenti in tre atti intitolati Affari Interni, Affari Esteri, Europa.
Nel primo tempo facciamo conoscenza con una coppia d’intellettuali di sinistra - lei ha inquietudini e atteggiamenti femministi, lui legge Il manifesto e insegna geopolitica in un’università privata – passando dal calore, anche sessuale, degli inizi sino alla tranquilla quiete di una convivenza consolidata. Nel secondo atto si racconta, dopo la rottura del primo rapporto, la relazione fra il professore e una studentessa, le difficoltà della nuova relazione, la nostalgia per quella conclusa. L’ultima parte vede la coppia (forse) ricostruirsi nonostante l’intromissione di un altro uomo, goloso di gelati e appassionato di chitarra, che, prima, seduce la studentessa, rimasta a sua volta vedova, poi inizia una relazione con l’ex-moglie. Un tessuto narrativo improntato a un’apparente normalità la cui forza dovrebbe essere affidata a dialoghi particolarmente significati, brillanti e dolorosi. Così non è, e le scene si susseguano sviluppando solo a una consistente monotonia immersa in un’aria di facile prevedibilità. Gli attori, giovani e bravi, non riescono sollevare il velo di noia che avvolge l’intero spettacolo, su cui pesa anche una regia burocratica, dello stesso autore, che affida il solo momento d’originalità a un paio di servi di scena che cambiano i praticabili a vista, arrivando sino a qualche strizzata d’occhio con gli attori. Tutto il resto, compresi i frequenti indirizzi degli interpreti alla platea, rientra nell’ovvio e nel già visto.