Gli spettacoli della Familie Flötz sono dei piccoli miracoli teatrali che raccontano la meraviglia del vivere. Da quando la compagnia si è formata nel 1994 a Essen, in Germania, su iniziativa di Markus Michalkowski e Hajo Schüler, i soggetti delle loro creazioni sono sempre stati gli effimeri attimi di tenerezza e malinconia che formano la vita di ciascuno di noi. Ristorante immortale (1998), Teatro Delusio (2004) e Hotel Paradiso (2006), per citare alcune delle produzioni di maggior successo, sono tutte allegorie di percorsi esistenziali spersonalizzati (l’uso delle maschere è il tratto distintivo del gruppo) conchiusi in spazi ben circoscritti e immersi nel fluire ripetitivo del tempo, un lungo susseguirsi di piccole gioie, imbarazzate incertezze e patetiche paure.
Fondamentale nella loro ricerca è naturalmente il linguaggio, che non contempla il parlato, non è riconducibile a drammaturgie rigidamente definite ma è anzi interamente incentrato sulle abilità mimiche degli attori (sempre diversi: l’organico della compagnia è in costante mutazione). Antelinguistico, non a caso, è il termine con il quale viene definito il loro teatro, sorta di magico mosaico di coreografie da tempo tra i più vitali esempi di sperimentazione teatrale nel panorama europeo. Lo conferma Infinita, saggio di talento visionario e inventiva scenica capace di lasciare a bocca aperta persino i fan ormai avvezzi alle trovate di questi funambolici artisti tedeschi. Di una levità quasi mozartiana, lo spettacolo è dedicato ai primi e agli ultimi momenti di vita dell’uomo. Nascita e morte, infanzia e dipartita dal mondo si intrecciano in un racconto ritmato dalle note avvolgenti del pianoforte e dai giochi d’ombre proiettati sullo sfondo della scenografia. Protagonisti sono, da una parte, un gruppo di bambini esagitati alle prese con le prime scoperte e, dall’altra, gli anziani più o meno arzilli di un triste ospizio gestito da un’infermiera pettoruta. I cambi di scena e maschera continui sembrerebbero a prima vista creare una sorta di grande carosello giocoso tra l’innocenza di un passato infantile e l’instabilità emotiva di un presente di vecchiaia, ma il lavoro sul tempo della rappresentazione non è solo una semplice alternanza di proiezioni all’indietro o in avanti. La sensazione è infatti quella molto più forte e suggestiva di un cerchio perpetuo – infinito, appunto - in cui la felicità (sempre colorata di stupore) e i dolori (stinti regolarmente nella malinconia) si inseguono senza soluzione di continuità, permettendo allo spettatore di sorvolare con i personaggi-maschera, tra una risata e un attimo di commozione, sulle turbolenze cui ci costringono nostro malgrado l’amore, il sesso, la solitudine e, soprattutto, le piccole epifanie della quotidianità. E proprio la capacità di scovare lo straordinario nell’implacabile ma in fondo banale succedersi di età ed eventi, insieme alle strepitose capacità degli attori-acrobati, fa di questo splendido viaggio tra le pieghe della vita un’esperienza indimenticabile.