Le Langhe sono una terra in cui la favola, il mito e la realtà s’intrecciano in maniera tanto serrata da rendere quasi impossibile districarli. Qui agricoltura e buon cibo, Resistenza antifascista e religiosità, gusto dei piaceri della vita e rigore ideale convivono a braccetto. Il primo grande merito degli autori di Dei liquori fatti in casa (Remo Rostagno, Beppe Rosso, Gabriele Vacis, quest’ultimo anche in veste di regista) è di aver trasferito quest'amalgama viva in un monologo che cresce con il passare dei minuti, sino a tracciare un mosaico bello e commuovente.
S’inizia con una partita di pallone elastico, sport praticato nella zona con toni quasi religiosi, interrotta dall’arrivo della nuova parrucchiera, una sinuosa francesina e s’inanellano storie e personaggi sono ad arrivare alla scena – Beppe Rosso riesce a farci vedere letteralmente ciò che accade – del gatto ritenuto indemoniato che si rifugia sulle lancette dell’orologio del campanile ed è abbattuto con un colpo dal campione locale. Quello che emerge dalle parole dell’attore monologante è un affresco sia di paese, sia di vita italiana negli anni, 1964, in cui il boom economico inizia a mostrare le prime crepe e risuonano le avvisaglie di quello che sarà il mitico sessantotto. Il secondo grande merito dello spettacolo è nella recitazione di Beppe Rosso che, coniugando vocalità e gestualità rigorosa, trasforma in immagini i quadri che descrive. In altre parole riesce a rendere vive situazioni e personaggi in cui si uniscono umanità e stereotipo, fantasia e realtà.