Bertolt Brecht (1898 – 1956) si chiedeva se fosse azione più criminale rapinare una banca o fondarla. Riproposta oggi, dopo gli scandali e le turbolenze che hanno segnato la crisi finanziaria in cui siamo tuttora immersi, c’è da scommettere che la stragrande maggioranza degli interrogati propenderebbe per la seconda ipotesi. La pensano sicuramente così Bebo Storti e Fabrizio Coniglio, autori e interpreti di Banche in cui portano in scena i casi di alcuni poveracci che hanno affidato ingenuamente i loro risparmi a un istituto di credito per poi trovarsi in mano un pacco di cartacce prive di valore mentre chi li aveva indotti a firmare deleghe e impegni d’acquisto continuava a raccogliere profitti.
Si va dall’anziana indotta a investire nella Parmalat, azienda di cui neppure conosceva il nome, al contadino cui si vendono bond argentini. Azioni, obbligazioni e titoli di stato che dovrebbero fruttare cospicui interessi e che, invece, dopo pochi messi non valgono più nulla. Il tutto animato dai due autori, con Bebo Storti che interpreta più ruoli, anche femminili, mentre Fabrizio Coniglio da vita a un promotore finanziario cui i superiori impongono di vendere ad anziani ignoranti e ingenui materiali che loro stessi sanno essere a rischio. Più che le novità stilistiche o politiche – la materia è stata ampiamente trattata in libri e articoli di quotidiani – il punto forte è nella performance degli attori che sanno rendere dolorosa e fonte di giusta rabbia una materia solitamente celata dietro numeri e statistiche. In poche parole è una materia non nuova retta da un forte gioco attoriale.