Jean-Baptiste Poquelin detto Molière (1622 – 1673) scrisse Il borghese gentiluomo (Le Bourgeois Gentilhomme) nel 1670, una commedia – balletto dedicata a Luigi XIV che l’anno prima aveva revocato il blocco censorio a Il Tartufo (Le Tartuffe ou l'Imposteur, 1664). La musica era dell’italiano, di nascita, Jean-Baptiste Lully (Giovanni Battista Lulli, 1632 – 1687), le coreografie del ballerino Pierre II Beauchamp (1631 – 1705). Partendo da questi precedenti Massimo Venturiello, in veste di regista e attore, ha costruito una versione del testo in dialetto napoletanizzato e con abbondanti inserimenti di brani cantati e coreografati.
In questa maniera, stando alle note di regia, la storia del signor Giordano (nell’originale Monsieur Jourdain) che, vittima della smodata passione per la nobiltà, sperpera un consistente patrimonio accumulato dal padre mercante di tessuti, ingrassa parassiti di ogni genere e si copre di ridicolo, dovrebbe innervare una proposta agganciata all’attualità. L’attore e regista scrive: non è forse una malattia del nostro tempo quella di inseguire patologicamente un ideale fisico e psichico imposto dai media? Non siamo forse circondati da eterni giovani, da bellezze siliconate, da rampanti pronti a tutto? Il risultato finale è pregevole sul piano professionale – sorprendenti le doti canore degli interpreti, Massimo Venturiello in testa, piacevolmente confermate quelle di Tosca – ma meno efficace sul pieno dell’aggancio a temi attuali. I canti, i colorati balletti, le piacevoli melodie, l’uso di un italiano napoletanizzato non riescono a dare un senso di reale contemporaneità a un discoro troppo legato a un testo preciso e a un’epoca ben identificabile.