Luigi Pirandello (1867 – 1936) trasse Tutto per bene da una sua novella scritta nel 1906, anche se la prima rappresentazione di questo copione avvenne il 2 marzo 1920 al Teatro Quirino di Roma, a un solo anno di distanza dalla messa in scena di Sei personaggi in cerca d'autore al romano Teatro Valle (10 maggio 1921). Quest’ultimo testo rivoluzionò profondamente la scena mondiale, inaugurando la fase creativa del drammaturgo agrigentino che va sotto la dizione di teatro nel teatro e offrendo un contributo non indifferente alla decisione di assegnargli il premio Nobel nel 1934.
E’ naturale che nel testo precedente ci siano già spunti che saranno sviluppati nel secondo. Fra questi un ruolo fondamentale lo ha il rapporto fra apparenza e realtà. Gabriele Lavia, regista e interprete propone una versione di questo copione cadenzata da ritmi lenti e inframezzata da momenti in cui gli attori cessano di recitare per muoversi al rallentatore. E’ un richiamo sia alla passione dell’autore per il cinematografo, che proprio in quegli anni confermava di svolgere un ruolo fondamentale quale mezzo di comunicazione di massa, sia alla rappresentazione della storia quale spettacolo nello spettacolo, meglio, come annuncio di teatro nel teatro. Il testo ruota attorno all’anziano Martino Lori che non riesce ad elaborare il lutto legato alla morte della moglie. Dopo molti anni dal tragico evento sua figlia Palma, affidata fino al diciottesimo anno alla tutela del senatore Manfroni che è anche il protettore del padre nella carriera ministeriale, si sposa con il nobile Flavio, lasciando solo il genitore. Quest’ultimo sopravvive malamente travolto dal disprezzo della ragazza e degli altri membri della buona società convinti che egli abbia sempre finto d’ignorare, per convenienza personale, il legame che saldava la moglie con il potente protettore e che Palma non sia figlia sua, ma dell’altro. Quando il poveraccio scopre casualmente la verità, la sua furia travolge ogni cosa portandolo ad aggredire fisicamente l’ex amante della moglie. Alla fine la soluzione sarà trovata in una sorta di risistemazione formale che vede la giovane affermare con forza di essere figlia di Martino Lori e gli altri membri del gruppo accettare questa falsità come verità assoluta. Il regista immerge il testo in una recitazione misuratissima, dai tempi distesi e intensi. Ne nasce uno spettacolo interessante e originale, funzionalmente lungo, ma godibile dal primo all’ultimo quadro.