Ethan Coen è sceneggiatore, regista e braccio produttivo che, in coppia con il fratello Joel, anima una dei sodalizi più inventivi, fortunati e noti del cinema americano. Il loro lavoro mescola ironia, tragedia e sguardo fermo sulla realtà. Si pensi a film come Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men, 2007) tratto con non poca originalità da un racconto di Cormac McCarthy o a Il grande Lebowski (The Big Lebowski, 1998).
Con tutta probabilità queste caratteristiche sono presenti anche nel copione di Offices (Uffici, 2009) andato in scena la prima volta per opera dell’Atlantic Theater Company di New York. Sono tre atti unici - Peer Review (Scheda valutativa), Homeland Security (Sicurezza interna) e Struggle Session (Seduta di scontro) ambientati in uffici o case di spioni – che il Teatro di Genova ha presentato quale ultima tappa della Rassegna di Drammaturgia Contemporanea. Stando a una prima valutazione sono testi che non sembrano aggiungere molto allo stile dell’autore (i), mentre la lettura che ne fa il regista Matteo Alfonso lascia non poco dubbi. S’inizia dallo spostamento del secondo capitolo alla fine dello spettacolo, cosa che non sembra avere molta ragione d’essere. Si prosegue con una lettura a fumetti che trasforma personaggi e situazioni in figure farsesche, sottraendo loro qualsiasi aggancio con il reale. Le prime avvisaglie di quest’approccio sicuramente singolare si hanno sin dalle prime immagini, con gli attori impegnati in un balletto frenetico stile discoteca di cui non si comprendono le ragioni. E’ una scelta che rasenta il grottesco senza una ragione precisa togliendo all’autore proprio ciò che più lo distingue: la capacità di spingere oltre il reale sino a scoprirne insensatezza e grottesco.