Il principe di Homburg (1808) di Bernd Heinrich Wilhelm von Kleist (1777 – 1811) è uno di quei classici che richiedono una precisa chiave di lettura. Così fu, ad esempio per Marco Bellocchio che, nel 1996, ne curò una versione cinematografica in cui il protagonista assumeva i sogni e le inquietudini dei giovani sessantottini. Purtroppo tutto questo manca nello spettacolo che Cesare Lievi, in veste di traduttore e regista, propone oggi.
Quello di questo drammaturgo dalla vita breve e tormentata, chiusa con il suicidio, è un copione generalmente considerato, oltre che il più importante del suo autore, come uno dei pilastri del romanticismo. Vi si narra il conflitto morale in cui si dibatte un comandante dell’esercito del Principe Elettore del Brandeburgo che, nel corso della battaglia di Fehrbellin (1675) contro gli svedesi, ha condotto l’armata alla vittoria, ma l’ha fatto trasgredendo gli ordini per cui è stato deferito alla corte marziale e condannato a morte. Il quesito è, dunque, se sia più importante il risultato o l’obbedienza. Non stupisce che questo testo sia stato sfruttato dai nazisti che ne hanno fatto un elemento importante della cultura del III Reich, visto l’elogio che fa della patria e del rispetto dell’autorità. E’ chiaro che un’opera suscettibile di tanta ambiguità e da cui è stata tratta, nel 1958, anche un’opera lirica musicata da Hans Werner Henze su libretto di Ingeborg Bachmann (1926-1973), richiede una precisa chiave di lettura. E’ un dato che latita nell’edizione – piattamente classicheggiante – curata da Cesare Lievi che, per giunta, si è trovato a dirigere un gruppo d’attori inadeguati a un compito tanto impegnativo.