Il veneziano Carlo Goldoni (1707 – 1793) scrisse L’uomo gentile nel 1748, due anni prima del famoso 1750 in cui il drammaturgo diede alle scene, in un solo anno, ben sedici commedie nuove, scritte per conto del capocomico Girolamo Medebach, la cui compagnia recitava nel teatro Sant'Angelo a Venezia. E’ un copione poco rappresentato, il cui maggior interesse si coglie nell’essere una sorta di ponte – l’intreccio facile, la presenza di maschere (Arlecchino, Brighella Colombina) – fra la commedia dell’arte e la riforma goldonina.
Questa caratteristica è stata quasi totalmente ignorata da Franco Però per questa nuova messa in scena interpretata, fra gli altri, da Franco Bonacelli. La vicenda, piuttosto scontata, ha per sfondo Sorrento e per protagonista un marito anziano e ricco, Pantalone, risposatosi con una giovane povera che ora arriva sino a progettarne la morte nella speranza di avere campo libero con cicisbei e giovani spasimanti. Grazie ad un’ingorda cagnetta, il delitto sarà sventato e la supposta vittima, armata d’infinita saggezza, si accontenterà delle promesse della mancata uxoricida, dell’accasamento del figlio (complice nella progettazione del misfatto) e della figlia di primo letto, convinto che la lezione sia servita a indurre la bizzosa consorte alla ragionevolezza e al rispetto della dignità familiare. Poco servono alcune intrusioni linguistiche – una tratta persino da una famosa battuta di Totò - per dare modernità e senso a un’operazione che rimane stanca proposta di routine, priva di reali motivi d’interesse.