Il poeta, drammaturgo e scrittore irlandese Samuel Beckett (1906 – 1989) è fra le figure - chiave del teatro del novecento. I suoi lavori, che gli fruttarono il premio Nobel per la letteratura 1969, hanno dato un contributo fondamentale a quel teatro dell’assurdo che è uno dei punti fermi della cultura contemporanea. Rozzamente e in estrema sintesi la si potrebbe definire una proposta in cui dialoghi apparentemente banali, si sviluppano in scenari privi di un qualsiasi riferimento reale. Il suo testo più noto è Aspettando Godot (En Attendant Godot o Waiting for Godot, 1952), un copione che oggi è diventato un vero classico e che è tuttora rappresentato facendo ricorso a chiavi di lettura sempre nuove, apparentemente inesauribili.
Giorni felici (Happy days, 1961) appartiene a questo tipo di teatro e mette in scena il monologo di Winnie, una donna sulla cinquantina sepolta fino alla vita in un cumulo di sabbia. Questo nel primo atto, nel secondo la protagonista è immersa sino al collo, quindi nell’impossibilità di estrarre dalla capace borsa che le è a fianco, come faceva prima, una serie di oggetti d’uso comune: un pettine, uno specchio, un rossetto, una rivoltella, un flacone di pastiglie. Suo unico interlocutore il marito Willie, coricato su una duna dietro di lei, da qui le lancia vari oggetti e risponde a monosillabi alle sue domande. Simona Fasano, anche in veste di attrice e co-regista, ha tratto Follia per un’attrice e un musicista su Giorni Felici da questo testo, leggendolo come radiografia di un rapporto di coppia. Da qui la scelta di immergere Winnie in un abito da sposa in cui sprofonda progressivamente e dare alla figura del marito maggiore spazio, trasformandolo in un suonatore di clarinetto che dialoga anche musicalmente con la moglie. Siamo in presenza, come si suol dire, di una lettura di tendenza, pregevole come tutte le scelte di questo tipo, che esalta un possibile approccio all’opera, anche a rischio di metterne in ombra altri. Un paio di esempi per tutti, il deserto che circonda i due protagonisti è stato interpretato anche come paesaggio post – atomico o come un universo di aridità interpersonale (in quegli anni Michelangelo Antonioni costruiva il discorso cinematografico sull’incomunicabilità). La fissità della lettura sulle relazioni di coppia, una scelta ribadita anche nelle parole degli attori a fine spettacolo, se fa acquistare attualità al testo, lo priva di molte, possibili sfaccettature. Lo aggiorna all’oggi, ma lo semplifica eccessivamente.