Angelo Beolco detto Ruzante (1496 – 1542) è un drammaturgo che ha profondamente innovato il teatro italiano inserendovi il dialetto pavano e offrendo testi basati su vicende contadine ricche di sesso, fame, povertà, astuzie miserabili, violenza. Moscheta (1527 - 1531) è uno di questi copioni, vi si racconta la storia di un contadino, Ruzante, la cui bella moglie Betia è concupita sia da compare Menato, sia dal vicino di casa, il soldato bergamasco Tonin. Entrambi avranno soddisfazione, anche se il militare patirà una cocente bastonatura.
Unico scornato, sarà Ruzante che rimarrà solo e cornificato a consolarsi con i denari che è riuscito a rubare al milite. L’operazione proposta da Marco Sciaccaluga, sulla base dell’adattamento curato da Gianfranco De Bosio, punta sul recupero di un linguaggio di non facile comprensione per gli spettatori di oggi. E’ una scelta non lontana da quelle fatte dallo stesso adattatore, all’epoca anche in veste di regista, negli anni cinquanta e sessanta, solo che, allora, l’impatto degli argomenti proposti da Angelo Beolco su un pubblico impreparato a sberleffi sessuali e scatologici espliciti, ebbe anche un’eco mediatica che oggi appare quasi incomprensibile. Ciò che rimane è un’offerta filologicamente corretta, affidata a interpreti che non sempre appaiono a livello della proposta. Troppe urla e gesti ridondanti, quasi che la volgarità o, se si preferisce, lo spirito sanguigno dei personaggi avesse bisogno di una recitazione gridata, laddove proprio il senso linguistico dell’operazione richiedeva una sottrazione di toni. Nel complesso è uno spettacolo di buon livello, ma non memorabile.