Laura Sicignano ha costruito Boccaccio rivisitato e scorretto come prova d’attori e campione di ciò che serpeggia nelle pagine del Decamerone (1349/51) di Giovanni Boccaccio (1313 – 1375). Queste cento novelle, che un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini rifugiatisi in una villa toscana per sfuggire alla peste che devasta Firenze (1348), s’inventano e raccontano durante quattordici giorni di ritiro forzato, rappresentano il primo testo letterario d’italiano e racchiudono una summa degli umori del tempo.
Umori che la regista individua in una sorta di anticipo di horror gotico, nell’esaltazione del gusto della beffa e in un erotismo che, contrariamente ai modi con cui solitamente si affronta quest’opera, è solo una sorta di sfondo vitalistico e contadino. La scelta principale è quella di porgere le varie novelle senza alcun intervento o modifica, semplicemente affidandole alla bravura degli attori – Orietta Notari e Roberto Serpi – accompagnati dai cenni musicali di Edmondo Romano. Ne deriva uno spettacolo il cui asse poggia quasi per intero sulla bravura degli interpreti, mettendo da parte qualsiasi ipotesi di lettura del testo se non quella deducibile dalle scelte della regista. In questo Laura Sicignano conferma una sotterranea predilezione per l’horror e il gotico – Ser Ciappelletto che, in punto di morte, inganna il confessore facendosi credere un sant’uomo laddove era stato un furfante e, soprattutto, Elisabetta che nasconde la testa dell’amato, ucciso dai suoi fratelli, in un vaso di basilico – anche a costo di mettere in sordina le parti più pruriginose del testo.