Eduardo De Filippo (1900 – 1984) scrisse Le bugie con le gambe lunghe nel 1946 e la diresse e interpretò l’anno dopo. Era ancora fresco il successo ottenuta dall’attore e drammaturgo napoletano con Filumena Marturano (1946), anzi fu proprio il grande esito di quest’opera a ritardare la messa in scena dell’altra. Entrambi i copioni furono poi inseriti, dall’autore stesso nelle Cantata dei giorni dispari, dizione che sposa il modo con cui i napoletani individuano i periodi negativi, mentre quelli fortunati sono detti giorni pari, con l’idea della forma tipica della musica barocca. Luca De Filippo prosegue il lavoro di rivisitazione e rilancio dell’opera del padre, portando in scena questo testo in una versione che ne accentua il pessimismo.
Libero Incoronato è un misero mediatore nel commercio di francobolli, la seconda guerra mondiale è appena finita e lui sopravvive a stento con la sorella nubile. Tutto intorno tutta una serie di personaggi, fra cui l’unica figura lineare è quella di Graziella, un’ex-prostituta di cui lui è innamorato ma che non può sposare per non compromettere le possibilità di matrimonio della sorella. Le figure che lo circondano sono segnate da ipocrisie e tradimenti: adulteri, figli illegittimi, padroni che tiranneggiano i dipendenti da cui pretendono anche gratitudine. Un groviglio di serpi che sfocerà in un finale in cui ciascuno pretende di sagomare il vero a proprio uso e consumo. A questo punto sarà lo stesso filatelico a stare al gioco, presentando ex- meretrice e sua futura sposa come una ricca aristocratica del nord. Dopo questa dichiarazione tutti s’inchinano alla donna e fanno auguri agli sposi. Sono molti i punti di contatto fra questo testo e il precedente, sia per quanto riguarda i personaggi (l’ex – prostituta diventata donna d’onore, il ricco che pretende di fare ciò che vuole con tutti, la fame diffusa), sia e soprattutto per lo sguardo che Eduardo getta su un mondo dominato dalla menzogna e dall’ipocrisia. Luca De Filippo ha colto magistralmente questo spirito, abbassando i toni come interprete – salvo l’esplosione finale – e usando una chiave ordinaria, quotidiana nella lettura dell’opera. Sono scelte che rinforzano e attualizzano il valore del copione in modo forte e coerente.