Dennis Kelly è un drammaturgo inglese nato a Londra nel 1970 che ha all’attivo svariati testi di successo. Il pubblico italiano l’ha già apprezzato, ad esempio, nella versione di After the End (Dopo la fine, 2005) messa in scena un paio di stagioni or sono da Tommaso Benvenuti e Matteo Alfonso, gli stessi che ora propongono questo Orphans (Orfani) con risultati ancora migliori. Il testo è stato rappresentato nel 2009 e ha al cento una famigliola londinese e benestante che abita in un quartiere razzialmente misto. Helen (Fiorenza Pieri) e Danny (Vito Saccinto) si accingono a una cena romantica al lume di candela – lei è incinta del secondo figlio – quando irrompe in casa Liam, fartelo minore della donna, coperto di sangue e in una condizione di profondo turbamento.
Lentamente, dalle sue parole inizialmente sconclusionate poi sempre più coordinate, emerge la verità: ha appena aggredito, sequestrato e torturato un mussulmano simbolo dei diversi per i quali prova un odio irriducibile e ai quali attribuisce ogni colpa della sua vita miserevole. La sorella tenta di aiutarlo in ogni modo e spinge il marito sino a farsi complice del fratello. Ci riuscirà, ma a prezzo di compromettere per sempre la vita familiare. Ora suo marito non viole più che nasca il figlio che lei porta in grembo. E’ un testo di una forza davvero straordinaria in cui matura sotto i nostri occhi, il degrado di una piccola borghesia che si crede al riparo della violenza del mondo e che, invece, finisce coinvolta nelle situazioni più turpi. E’ anche una denuncia forte e motivata del razzismo che serpeggia sotto il perbenismo di una società che si dice civile, ma che non è disposta ad accogliere chi si presenta diverso per razza, religione o, anche, semplice per abbigliamento. E’ un’opera che la regia mette in scena in modo pulito e lineare, puntando sulla maestria degli attori. Fra questi Fiorenza Pieri – che proviene, come i suoi colleghi, dalla Scuola dello Stabile di Genova – che emerge per complessità e sfaccettature del personaggio che interpreta e cui presta un corpo quasi filiforme quale luogo ideale in cui si concentrano contraddizioni e sentimenti in conflitto.