Sono molti i temi che il drammaturgo spagnolo Juan Mayorga sviluppa ne Il ragazzo dell’ultimo banco offrendo l’occasione per riflettere sulla letteratura, ma anche sul teatro, sul ruolo dell’autore e del lettore, ma anche dello spettatore, sulla società contemporanea, sul rapporto tra i giovani e gli adulti, nonché sulla relazione di coppia. La ricchezza degli argomenti non inficia tuttavia la fruibilità dello spettacolo, strutturato con arguzia dal teatrante qui diretto con intelligenza da Alberto Giusta. La rappresentazione si snoda su due binari che tuttavia s’intersecano costantemente: un insegnante di letteratura scopre in uno dei suoi studenti più schivi una vocazione per la scrittura; il ragazzo, infatti, gli consegna pagine di una vicenda a puntate che non è altro che il resoconto delle sue visite in casa del compagno di classe Raphael, con cui trascorre le giornate sui libri di matematica e filosofia.
Ben presto però la vicenda si complica ed emergono le difficoltà della famiglia di Raphael, squallido esemplare di piccola borghesia, e un’infatuazione per la padrona di casa da parte del giovane protagonista. La moglie dell’insegnante, che legge tutti gli scritti dello studente e invita di continuo il marito a fermarlo, manifesta altresì una morbosa curiosità per la storia raccontata; lo stesso professore, da una parte, pressato dalla consorte, tenta di frenare il giovane, dall’altra lo incoraggia, invitandolo alla lettura e spronandolo così a continuare a scrivere. Tuttavia il confine tra realtà e finzione resta sempre molto labile e tanto l’insegnante, quanto il pubblico perdono la percezione di quello che è reale e ciò che è oggetto dell’immaginazione del giovane Claudio. L’impressione è, infatti, che la rappresentazione parallela, cioè quella della vita della famiglia di Raphael, sia solo nella testa dello studente o, piuttosto, in quella del docente e della sua consorte. La rappresentazione di una realtà vera o presunta rimanda ad un gusto voyeuristico caratteristico della società contemporanea e, di conseguenza, stimola interrogativi di carattere etico. Quello del drammaturgo spagnolo è un teatro che descrive i personaggi e la realtà, ma prende in considerazione anche la letteratura, intesa come spazio dell’immaginazione. La messinscena di Alberto Giusta punta sulla fluidità dei movimenti degli interpreti, che si spostano di continuo, costringendo lo spettatore a seguirli, con la stessa curiosità con cui segue le vicende dei protagonisti del racconto. Gli attori si prestano bene alla scelta registica, soprattutto Vito Saccinto, perfetto nella parte del giovane studente.