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Filippo Timi (1974) è fra i pochi artisti che alternano il lavoro sul grande schermo a quello sul palcoscenico e alla scrittura. Attore cinematografico di successo, ha ottenuto il Premio Pasinetti per la sua interpretazione in La doppia ora (2009) di Giuseppe Capotondi, autore di libri (Tuttalpiù muoio, 2006), teatrante particolarmente attento alla sperimentazione, si cimenta ora con una lettura dissacrante e originale dell’Amleto shakespeariano trasformato in miscuglio di comico, farsesco e tragico.
Il popolo non ha pane? Diamogli brioche ricorda nel titolo la frase attribuita alla regina Maria Antonietta (1755 – 1793) alla vigilia della Rivoluzione francese (1789 – 1799) e affronta il celebre testo seicentesco, che ancor oggi suscita analisi e interpretazioni tanto che, nei soli Stati Uniti, sono oltre quattrocento le tesi di laurea che ogni anno prendono spunto da quest’opera. L’asse dello spettacolo ruota attorno all’immersione copione originale in un flusso continuo e disordinato di citazioni televisive, slogan pubblicitari, battute da avanspettacolo, monologhi tragici. S’inizia con una lunga citazione audio di Ettore Petrolini (1884 – 1936), vero maestro nell’arte del rovesciamento e nell’irrisione di testi paludati, personaggio che ritorna verso la fine dello spettacolo. Tuttavia una cosa è la satira organizzata, come quella petroliniana, un altro è l’assemblaggio caotico e senza una logica precisa di materiali eterogenei in cui parolacce, nudi, scenografie irriverenti si mescolano in modo quasi casuale. In altre parole ciò che manca è un filo logico preciso che guidi la dissacrazione a un preciso obiettivo. Qui, invece, sembra che l’ambiguità sia stata eletta a metodo narrativo, ma questo più per casualità che non per decisione consapevole.