Emanuele Conte, per la Compagnia del teatro della Tosse e in collaborazione con il Festival della Scienza, ha tratto da Autunno a Pechino (L'automne à Pékin, 1947) di Boris Vian (1920 – 1959), questo Il viaggiatore onirico – Uno spettacolo jazz che, sin dal titolo, cita la grande passione dello scrittore francese per il connubio fra fantasia e musica. Un impiegato metodico e opportunista si trova a fare i conti con un fenomeno degno di un sogno. L’autobus numero 975, che prende ogni mattina, anziché portarlo in ufficio, continua la corsa attraverso l’Europa e l’Asia per fermarsi nel deserto dell’Exopotamia.
E’ un luogo fiabesco in cui è nominato direttore dei lavori per un’inutile ferrovia che dovrebbe essere costruita sulla sabbia ma che, appena terminata, è subito superata da un’altra destinata a servire gli interessi delle imprese coloniali. In questo c’è in pieno lo spirito anticolonialista di Boris Vian, lo stesso che lo portò a scontrarsi con il potere all’epoca della Guerra d’Algeria (1954 - 1962) con la canzone Le deserteur (1954) in cui si rivolgeva al Presidente della Repubblica per dirgli che rifiutava di andare a servire nell’esercito. Emanuele Conte propone uno spettacolo che si riallaccia alle origini della Tosse, con una dominanza di bianco e nero, scenari e costumi fantasiosi e una scenografia basata su una piattaforma inclinata su cui si aprono numerose botole. E’ una proposta stuzzicante, ricca di suggestioni rivolte al presente – la ferrovia inutile come il ponte sullo stretto di Messina – e, soprattutto, segnata dalla messa in scena del grigiore e meschinità morale del protagonista, vero erede di quel Re Ubu (Ubu roi, 1896) di Alfred Jarry che, non a caso, ha segnato l’inizio della vita artistica di questa compagnia. In altre parole siamo alla presenza di un ritorno positivo alle origini con quel tanto di aggiornamento utile a marcare sia lo scorrere del tempo, sia il peso di temi e problemi validi oggi come ieri.