Alla base di Cessi Pubblici c’è una trovata drammaturgica tanto efficace quanto risaputa: seguire le evoluzioni politico-sociali di un paese dal punto di vista di un ristretto numero di uomini e donne orbitanti intorno a un luogo definito.
I decenni passano, la storia fa il suo corso spesso mietendo vittime e compiendo danni irreparabili, i personaggi invecchiano e cambiano – quasi sempre in peggio – mentre le quattro mura intorno a loro resistono più o meno bene all’assalto impietoso del tempo. I protagonisti del corposo testo di Guo Shixing trascorrono parte della loro quotidianità negli spazi di un bagno pubblico di Pechino. Tra loro spicca naturalmente il custode, che eredita il posto dalla madre - instancabile pulitrice di feci rivoluzionarie – e diventa senza volerlo una sorta di testimone riluttante delle trasformazioni della Cina del secondo Novecento. Incontriamo lui e i suoi clienti negli anni Settanta, al tramonto della sanguinosa Rivoluzione Culturale, quindi nel 1985, in pieno Grande Decollo Economico, e infine sul finire del Ventesimo secolo, nella fase di apertura definitiva all’Occidente. La storia della Cina si riflette insomma in quella dei suoi cessi: prima luridi e collettivi, poi sterilizzati, confortevoli e sfacciatamente capitalisti. Sergio Basso, già assistente di Gianni Amelio e direttore della compagnia Teatraz, ci restituisce questa serie di squallide parabole esistenziali - e fisiologiche - all’interno di una messinscena volutamente stonata e caotica, costantemente sopra le righe. Ne deriva uno spettacolo diseguale tanto nel ritmo quanto nella qualità delle soluzioni sceniche e recitative, in cui gli sforzi di attualizzazione del testo finiscono paradossalmente per minare l’efficacia dell’insieme, dando un’impressione finale di sciatteria e pretestuosità che palesemente non riflette l’effettivo valore dei talenti coinvolti.