Genova, 1938, poche settimane prima della storica visita di Benito Mussolini alla città. Un neurologo e psichiatra di fama internazionale allergico al nuovo regime, si appresta a partire per Berlino ove parteciperà a un importante congresso internazionale. Ha una segretaria ebrea – nell’aria c’è odore di leggi razziali sul modello di quelle già varate in Germania – e una figlioccia handicappata che i servizi sociali hanno collocato come serva in una bisca – bordello. Inaspettatamente riceve la visita della moglie di un alto gerarca del ministero degli esteri che sta tramando, con altri, per evitare il sodalizio mortale fra Hitler e il Duce in vita della guerra che si annuncia.
Tuttavia gli scherani del fascismo hanno le orecchie lunghe e ricattano il medico: se andrò al congresso loro, faranno arrestare per furto la sua protetta. La storia s’interrompe a questo punto, senza soluzioni buoniste o miracolistici colpi di scena. E’ il dato migliore di un testo, Il nido di carta di Francesco Nardi e Sara Vallebuona che compaiono anche in veste d'attori, la cui struttura ricorda quella de Una giornata particolare (1977), il film di Ettore Scola che radiografava la ferocia del regime attraverso il rapporto fra un omosessuale che sta per essere inviato al confino e una casalinga lasciata sola in casa da marito e figli accorsi a rendere omaggio il Fuhrer in vista alla capitale. Qui il discorso è simile, mutati caratteri dei protagonisti: guardare a un momento particolarmente tragico della storia italiana del novecento attraverso gli occhi di gente comune, in questo caso un tranquillo professionista borghese. Obiettivo ambizioso, raggiunto solo in parte causa una recitazione piuttosto grezza e una regia troppo normale. Come dire che la voluta piattezza dell’esposizione non riesce del tutto a essere metafora di una precisa condizione storica.
