Marco Pantani (1970 – 2004) è stato uno dei grandi del ciclismo italiano alla fine del secolo scorso. Figura discussa, fu oggetto, a detta dei suoi estimatori la famiglia in primo piano, di un vero e proprio complotto che, sommato ai vari incidenti che segnarono la sua carriera, ne causò la morte solitaria in un una stanza del residence Le Rose di Rimini. Il verdetto ufficiale fu di edema polmonare e cerebrale, conseguente a un'overdose di cocaina.
Un referto che non ha mai convinto del tutto e che, unito alle numerose incongruenze che segnano un’indagine a dir poco frettolosa, legittimano il sospetto di un assassinio anziché quello di una morte accidentale per abuso di droghe. Marco Martinelli ha raccolto e sposato dubbi e sospetti in un lungo spettacolo, tre ore e venti, intitolato Pantani in cui l’attrice che interpreta la figura della madre del corridore guida gli settatori lungo la vita e la carriera dell’atleta. E’ una sorta di teatro – inchiesta con al centro un personaggio che suscitò grandi passioni – famosa la sua adesione alla protesta dei ciclisti contro le condizioni terribili di una tappa di montagna – non tutte positive. Un atleta qui evocato come l’eroe di una tragedia greca, sempre presente ma mai interpretato. E’ un testo di grande spessore e fascino a cui dà un contributo fondamentale il coro che intona, spesso in dialetto, canti quasi gregoriani destinati a offrire una sorta di commento musicale ad una tragedia moderna il cui protagonista è sconfitto da forze economiche non meno possenti degli dei che popolano i testi di Eschilo e Sofocle. Uno spettacolo chiaramente, volutamente di parte, documentatissimo nelle sue affermazioni, che getta una luce nuova su un personaggio che, all’epoca, fu sepolto sotto le chiacchiere superficiali dei media.