Il nome della rosa è il titolo del primo romanzo di Umberto Eco (1932 – 2016) scritto nel 1980 e coronato da un grande successo editoriale con più di 50 milioni di copie vendute nel mondo. Il libro ha per sfondo il 1327 ed è costruito sulla base del classico espediente del manoscritto ritrovato, nel caso l’opera di un monaco, Adso da Melk, che racconta ciò a cui ha assistito quando era novizio e discepolo di Guglielmo da Baskerville.
Il tono è quello di un romanzo giallo – indicativo il nome del protagonista - in cui in un monastero benedettino un frate francescano inglese si trova ad indagare sui numerosi delitti avvenuti in un convento dell'Italia Settentrionale. Da questo testo il regista francese Jean-Jacques Annaud (1943) trasse, nel 1986, un film interpretato da Sean Connery (1930) che ebbe molto successo. E’ ora la volta di Stefano Massini (1975) che ha estratto da quelle pagine un copione affidato alla regia di Leo Muscato. Come già avvenuto nel caso del film il primo dato, negativo, che emerge è l’abbandono dell’elemento di maggior interesse del libro: il lavoro di elaborazione dello stile e di commistione fra narrazione e struttura delle giornate monastiche. Non è una decurtazione da poco in quanto elide una parte fondamentale e importantissima dell’opera. Una mutilazione che riconduce a un testo normale una pagina scritta che conteneva un’innovazione che non si ritrova sulla scena. E’ vero che ciascuna forma espressiva ha le sue specificità linguistiche, per cui il teatro non può essere sovrapposto al libro, ma non è meno vero che in questo caso il lavoro creativo dello scrittore contiene una dose di originalità che non compare sul palcoscenico. In altre parole ciò che è stato fatto dal curatore della versione teatrale è poco di più della messa in scena della trama del libro. Poco conta, in questa direzione, la bravura degli interpreti e la scorrevolezza del racconto. Speriamo almeno che lo spettacolo induca qualcuno fra gli spettatori ad andare a leggere il libro.