Charlie Chaplin, scrisse, produsse e diresse Il grande dittatore nel 1940. Un film ancora segnato da una prevalenza delle parti mute su quelle sonore (in inglese ed esperanto) anche se la prima pellicola parlata era stata prodotta più di dieci anni prima: Il cantante di jazz (The Jazz Singer, 1927) di Alan Crosland. Del resto è nota la predilezione di questo grande cineasta per il vecchio cinema, tanto che ha diretto Luci della città (City Lights) nel 1931 e Tempi moderni (Modern Times) nel 1936 quando ormai nessuno realizzava più film muti.
Massimo Venturiello è partito da quel lontano classico, che sbeffeggia Adolf Hitler (Adenoid Hynkel), Benito Mussolini (Bonito Napoloni) e i rispettivi circoli magici, per trarne un musical, piacevole sia per la parte musicale, sia per quella coreografica. Naturalmente questa esasperazione della vocalità, rappresenta un apparente tradimento in rapporto alla predilezione per le immagini del grande Charlot, ma è un tradimento solo apparente, nel senso che ci restituisce il gusto per uno spettacolo divertente e ammonitore. Certo, la sfida con la presenza scenica di Charlie Chaplin è persa in partenza e Massimo Venturiello vi aggiunge l’ulteriore handicap di un’eccesiva seriosità che cozza con l’aerea leggerezza dell’originale. Meno stridente il contrasto fra Tosca, cui è affidata gran parte della parte musicale, e Paulette Goddard che proprio da questo film prese lo slancio per una carriera folgorante e per una relazione, durata ben otto anni, con questo cineasta. La storia è nota e segue le vite intrecciate del feroce dittatore e quella di una piccolo barbiere ebreo che è il suo sosia. Una serie di vicende cadenzate dal bisogno di denaro del capo nazista e dallo scontro con il dittatore italiano per il controllo dell’Austria. Lo spettacolo segue con grande fedeltà le vicende raccontate dal film e lo fa ricorrendo a una scenografia funzionale, quanto lineare. Un percorso che approda ad una proposta piacevole e interessante.