Blu, secondo appuntamento del Cantiere Campana, è un monologo tutto palpiti e tensione emotiva che, sin dalla laconicità monosillabica del titolo, sembra voler puntare dritto al cuore dello spettatore. Un testo intenso, scritto da Laura Forti e diretto con mano invisibile da Giampiero Judica, in grado di condurre lo spettatore nel cuore della Sicilia stretta tra una modernità tutta di superficie e i pregiudizi atavici di una società ancora inesorabilmente misogina e retriva.
Protagonista è Maria Concetta detta Conci (Linda Caridi), diciannovenne parrucchiera abbandonata dal padre – che si è rifatto coscienza e famiglia lontano da lei – e invischiata in un rapporto fatto di silenzi e sguardi obliqui con una madre chiusa in un mutismo passivo ammantato di tradizionale buonsenso. Perduta in una terra che sembra offrirle solo la sistematica decapitazione di sogni infantili e candide speranze, vive ingenuamente ascoltando i Tokyo Hotel, tra le passeggiate con la cugina demente Dolores, le occhiate ambigue degli abitanti del paese, i ricordi di amicizie perdute e, infine, il sogno impossibile: un Tuareg dal manto blu che la porti via sul suo cammello. Apparentemente condannata alla stasi eterna in questo limbo di infelicità, la sua vita subisce tuttavia l’accelerazione improvvisa e imprevista che modifica per sempre il corso degli eventi: una serata in discoteca si trasforma in un caleidoscopio di sensazioni inedite – droga, musica, caos e incoscienza – e termina sul sedile posteriore di una macchina, lasciandola oppressa da incredulità e senso di colpa, e incinta. Sarà l’inizio di un lungo e tormentato processo di maturazione, una catena di eventi anche luttuosi al termine dei quali la sua esistenza troverà finalmente senso, e un coraggio nuovo da cui ripartire. E’ molta la carne sul fuoco in questo romanzo di formazione compresso nella forma chiusa e nei ritmi concitati del soliloquio, in continua oscillazione tra il riso e la lacrima. Sesso, amore, amicizia, maternità, rivalsa sociale, violenza e perdita dell’innocenza: tutti elementi che contribuiscono a creare un piccolo affresco socio-antropologico all’interno del quale si muove, come spinta dalla forza stessa delle parole, la sofferenza totalmente e drammaticamente individuale di una giovane in cerca di sé e, soprattutto, di una felicità ostacolata da grettezze e meschinità esterne. Serviva un’attrice di prim’ordine per evitare le facili trappole di un flusso di coscienza narrativo dai simili presupposti, e così è stato. A dare corpo, voce e concretezza teatrale al percorso di crescita di Conci, è infatti una Linda Caridi calata con grazia arruffata ed energia bruciante in un ruolo che le permette di rivelare allo spettatore insospettabili doti di mattatrice. Ben lontana dalla nevrosi quasi infantile proposta nella coralità de La regola del gioco di Emanuele Conte, l’attrice rivelazione di questo primo scorcio di stagione della Tosse tiene in pugno lo spettacolo, passando con disinvoltura impressionante dai tormenti interiori di un personaggio soffocato da un contesto opprimente alla schiera di figure secondarie che popolano il dramma, rese con piccoli gesti, giochi vocali e variazioni dialettali che strappano risate, inducono alla commozione più sincera, scatenano rabbia impotente e trasformano la sua interpretazione in un tour de force davvero ammirevole. A teatro, in alcuni rari casi, può bastare il talento del singolo a determinare la perfetta riuscita di uno spettacolo: Blu e la sua protagonista ne sono la conferma.
