Henning Mankell (1948) è un romanziere svedese noto per aver inventato la figura del commissario Kurt Wallander, protagonista di una serie fortunata di romanzi polizieschi trasferiti anche in alcuni telefilm. Meno nota è la sua produzione teatrale di cui fa parte Il buio di giorno (Mörkrtid), ora messo in scena da Filippo Dini con l’interpretazione di Federico Vanni e Ilaria Amatasi.
Padre e figlia, immigrati clandestini, vivono reclusi in un piccolo appartamento. Sono arrivati in Svezia da un paese che non è mai citato esplicitamente, dopo un viaggio difficile e tragico nel corso del quale è morta la moglie e madre. Stanno sfuggendo da un regime tirannico che pratica la tortura e perseguita crudelmente chiunque osa protestare. Il padre è annichilito dalle violenze subite in carcere, ora non vuole più uscire da casa, attende l’arrivo di non meglio precisati contrabbandieri che, in cambio di denaro, gli hanno promesso nuovi documenti. La figlia ha capito che il genitore è stato truffato e che non arriverà nessuno, inoltre lo accusa di aver lasciato morire la madre durante il naufragio della barca che li traghettava verso la Spagna. Nel testo i dati sociali – l’emigrazione clandestina, i regimi dittatoriali, la tortura e la repressione poliziesca - si alternano a quelli psicologici come rancore della figlia e le turbe mentali del padre che arriverà sino a tentare di stuprare la ragazza. E’ un testo denso, complesso, pieno di spunti di riflessione. La regia espone questo materiale senza quasi tentarne una selezione, lasciando allo spettatore il compito di scegliere ciò che più lo colpisce. E’ una decisione che scarta una lettura geograficamente collocata in favore di un’esposizione totale. Forse non è il modo migliore per affrontare un’opera così complessa e il risultato si coglie, in negativo, anche nell’interpretazione degli attori che oscilla fra i sottotoni, nevrosi e scene eccessivamente gridate.