I trentenni costituiscono una generazione ricca di problemi e bersagliata da difficoltà e delusioni. Le difficoltà si collegano a una società in rapida trasformazioni in cui non esistono quasi più le certezze di un tempo (la speranza del cosiddetto posto fisso), le delusioni nascono dalla constatazione che non c’è più spazio per loro in un tessuto sociale ed economico disgregato.
Mors tua vita mea di Silvia Zoffoli mette in scena questo quadro complesso peccando di eccessiva semplificazione. Sul palcoscenico quattro figure, due uomini e due donne, che dovrebbero emblematizzare un’intera condizione giovanile. C’è il ricercatore che è riuscito ad ottenere un buon lavoro, ma per farlo ha dovuto emigrare. C’è la militante, non si capisce bene di quale movimento o partito, che è rimasta qui e continua a lottare per dare spazio a se stessa e al bimbo che porta in grembo. C’è la ragazza turbata che continua ad inseguire un sogno romantico impossibile. C’è il ragazzo che ha rinunciato ad ogni speranza e sopravvive con rabbia in una condizione sottoproletaria. Sono figure non prive di un aggancio con la realtà, ma che l’autrice sbozza a colpi d’ascia dichiarandone la dimensione, sin troppo semplicistica, sin dal loro apparire in scena. In altre parole ciò che manca è un disegno preciso delle psicologie e un approfondimento delle condizioni di ciascuno. Sembra quasi di essere, in termini drammatici e non farseschi, vicini ai personaggi che compaiono in molti film italiani in cui i giovani appaiono preoccupati solo di spillare quattrini ai genitori e conquistare in numero maggiore di compagni o compagne.