Composto fra il 1605 e il 1608, Macbeth è fra i testi più noti e rappresentati di William Shakespeare (1564 – 1616) anche se, in campo teatrale, ha fama di portare sfortuna al punto che molti attori si rifiutano di pronunciare questo titolo sostituendolo con la locuzione il dramma scozzese. Andrea De Rosa propone una versione di questo testo per l’interpretazione, nei ruoli principali, di Fédérique Loliée e Giuseppe Battiston. La storia del nobile scozzese che diventa re dopo aver ucciso, su istigazione della moglie, il monarca legittimo e dissemina di cadaveri, anche di bambini, la sua ascesa al trono per poi precipitare rovinosamente, è collocata dalla regia in un ambiente non facilmente identificabile a mezza strada fra un deposito di mobili ospedalieri in disuso e un salotto piccolo borghese.
Sullo sfondo una grande parete costellata di finestre che retrocede e avanza a simboleggiare sia precisi eventi (l’avanzare del bosco di Birnan sino al colle di Dunsinane) sia l’allargarsi e il chiudersi della storia. In altre parole una versione modernizzata che, nel caso specifico, non segue una linea nettamente collocabile giocando quasi tutte le sue carte su una recitazione gridata, spesso sino all’eccesso. Un quadro che non stabilisce, ad esempio, una dialettica netta fra l’assassino e la sua ispiratrice, limitandosi ad accennare a un rapporto complesso, ma non ben definito. Allo stesso modo il ricorso a riferimenti cinematografici, in particolare allo stile ironico – grandguignolesco di Quentin Tarantino, appare più legato a una moda che non a una precisa scelta espressiva, slegato com’è da una qualsiasi visione d’insieme del testo. Naturalmente ci sono momenti pregevoli, soprattutto nel gioco delle luci, così come appare originale la scelta di affidare a tre bambolotti parlanti il ruolo delle streghe che profetizzano l’ascesa e la caduta del protagonista. Dati positivi che non sanano un bilancio complessivamente deludente.