William Shakespeare (1564 – 1616) scrisse il Giulio Cesare (The Tragedy of Julius Caesar [La tragedia di Giulio Cesare]) nel 1599, basandosi su una biografie di personaggi famosi narrate da Plutarco (46 - 48 d.C. – 125 - 127 d.C.).
La storia della congiura di Bruto e Cassio che assassinarono nel 44 a.C., assieme ad altri congiurati, il prestigioso generale cui il Senato aveva offerto la corona di re, è stata letta da molti, soprattutto nell’ottocento, come esempio di baluardo estremo per la difesa dei valori repubblicani contro l’imperio della dittatura. I sanguinosi eventi che seguirono a quel delitto sfociarono nella guerra fra le armate fedeli ai congiurati e quelle guidate da Marco Antonio (83 a.C. – 30 a.C.) e Ottaviano (63 a.C. – 14 d.C.). Il conflitto si risolse a Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C. con la sconfitta e morte dei congiurati. Alex Rigola ha curato adattamento e regia di questo testo per conto Teatro Stabile del Veneto utilizzando una scenografia semplice ed efficace. Nel primo tempo – lo spettacolo dura complessivamente quasi due ore – tutto si svolge davanti a una parete bianca che, ad un certo punto, viene imbrattata dal sangue dell’ucciso. Nel secondo tempo la parete di apre rivelando un cumulo di ossa che simboleggiano il cruento massacro finale. La regia mette in scena anche microfoni e telecamere, mentre gli attori indossano abiti moderni e Giulio Cesare è interpretato da una donna, simbolo della nota ambiguità sessuale del condottiero. Il tutto introdotto da una serie di immagini di dittatori e uomini politici moderni – da Adolf Hitler a Mussolini, dal nordcoreano Kim Jong-un all’ex - presidente americano Barack Obama – e da un balletto in cui gli attori, travestiti da scimmioni, incarnano la belluinità che dovrebbe segnare ogni comportamento umano. Un discorso piuttosto generico e solo in parte condivisibile che non toglie fascino e forza a uno spettacolo di grande interesse.