Capolavoro riconosciuto della letteratura russa, Il cappotto è una delle opere più celebri di Nikolaj Vasil'evič Gogol' (1809 – 1852). Al centro di questo dolentissimo racconto pubblicato nel 1842, vi è la storia di Akakij Akakievič Bašmačkin, umile copista costretto a sopravvivere nel gelo pietroburghese con il povero stipendio ministeriale, tra i lazzi dei colleghi d’ufficio e altre innumerevoli miserie quotidiane.
Vittorio Franceschi, teatrante d’esperienza, ha ripreso il personaggio nella doppia veste di attore e drammaturgo, seguendone tutte le tragicomiche tappe verso l’amaro finale: l’acquisto di uno sgargiante cappotto di cammello (esagerato rispetto alla sua condizione di burocrate di infima categoria), la breve gloria scaturita dall’inedita eleganza, e infine il furto del cappotto medesimo nella notte invernale, l’umiliazione e la morte in solitudine. In questa nuova versione per la scena, la materia gogoliana è stata dunque rispettata nell’essenza e nella struttura, ma opportunamente teatralizzata grazie soprattutto a dialoghi scritti ex novo e in grado di restituire tanto la complessità della figura del protagonista – grande archetipo dell’impiegato vessato – quanto la caleidoscopica e minacciosa San Pietroburgo zarista che fa da sfondo alla vicenda. L’adattamento ha poi trovato in Alessandro D’Alatri un abile esecutore registico, attento al ritmo della narrazione e all’equilibrio di un cast particolarmente ben assortito (da segnalare l’ottimo Umberto Bortolani nel ruolo del sarto Petròvic). Su tutto svetta però il talento dello strepitoso primattore, artefice principale - sia con la penna sia con voce e gesti – di uno spettacolo decisamente coinvolgente, dalle atmosfere non prive di suggestione autentica.