Un famoso e stimato quartetto d‘archi è formato dal violoncellista Peter Mitchell, dal primo violino Daniel Lerner, dal secondo violino Robert Gelbart e dalla violinista Juliette, che è anche la moglie del secondo violino. Sono assieme da venticinque anni che stanno per festeggiare l’anniversario con un concerto il cui punto di forza sarà l’esecuzione dell’Opera 131 di Beethoven. I rapporti fra questo famosi musicisti sono, nella vita privata, tutt’altro che idilliaci con intrecci sentimentali malamente nascosti.
A questo groviglio di relazioni si aggiunge, come un tuono a ciel sereno, la notizia che a Peter e stato diagnosticato il morbo di Parkinson per cui le possibilità che possa fare ancora parte del gruppo sono ridotte al lumicino e limitate nel tempo. Inizia in questo modo un percorso drammatico destinato a concludersi con un’esibizione, ultima del gruppo, orchestrata in maniera da commuovere a fondo lo spettatore. Yaron Zilberman ha già firmato un interessante documentario (Watermarks, 2004) su un gruppo di nuotatrici viennesi costrette a separarsi causa le leggi razziali, ma riunitesi alla fine della guerra, Esordisce ora nel lungometraggio narrativo con Una fragile Armonia (A Late Quartet), un film di forte taglio melodrammatico in cui gli attori hanno un ruolo ben più importante della trama. In questo Christopher Walken, Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener e Mark Ivanir offrono performance magistrali, riuscendo a rendere credibili difetti e tensioni sentimentali di un mondo chiuso che trova unità e armonia solo nell’esecuzione musicale. In questo senso il film rasenta la perfezione, forse una vecchia perfezione, ma pur sempre un equilibrio magistrale.