La prima cosa da dire, come hanno fatto tutti coloro che hanno parlato di questo film, è precisare che non si tratta di una nuova versione del noto testo shakespeariano, ma della riduzione cinematografica del romanzo Lady Macbeth del distretto di Mcensk (Леди Макбет Мценского уезда, 1865) dello scrittore russo Nikolaj Semënovič Leskov (1831 – 1895), di cui si conta già una riduzione in opera lirica, nel 1934, per la penna di Dmitri Shostakovich (1906 – 1975), versione che è stata alla base, nel 1992, del film del ceco Petr Weigl (1939).
Le vere novità del testo firmato dal regista e produttore inglese William Oldroyd, che qui esordisce nel lungometraggio, sono lo spostamento della scena dalla Russia all’Inghilterra del 1885 e la modifica del finale. Tutto inizia con la diciassettenne Katherine costretta a un matrimonio senza amore con un ricco proprietario terriero che le impone una vita quasi di clausura cadenzata dalle rigide norme sociali dell’epoca e marcata, nel privato, dalla perversione del marito che la considera solo un oggetto utile al suo onanismo. Lasciata sola per lunghi mesi, la donna inizia una relazione clandestina con un giovane stalliere, un legame che la immetterà in una spirale di violenza e la poterà a commettere vari omicidi di cui accuserà l’amante e la fedele domestica. Il film, formalmente perfetto, rappresenta uno di quei punti alti del cinema britannico che hanno sostanziato prestigio e fama di questa cinematografia. Un risultato positivo anche per merito di un cast davvero magistrale, in cui spicca la bravura di Florence Pugh, capace di passare dalla freddezza ai momenti di più intensa passione. Davvero un film imperdibile, come segnala, una volta tanto a ragione, la pubblicità.