Ultimo film co-prodotto da Tony Scott insieme al fratello Ridley prima della sua morte, Stoker segna l’arrivo a Hollywood del cinquantenne sudcoreano Chan-wook Park che presto realizzerà anche un western e un crime-drama come omaggio al cinema statunitense che conosce bene e apprezza. La sceneggiatura è dell'attore inglese Wentworth Miller il quale, nonostante i precisi riferimenti a Dracula e al suo autore Bram Stoker, riesce a costruire un film che solo raramente si avvicina all’horror avvantaggiando la commedia di formazione, il dramma famigliare, il thriller psicologico influenzato da Shadow of a Doubt (L'ombra del dubbio, 1943) di Alfred Hitchcock.
Le riprese, iniziate nel settembre 2011, si sono svolte quasi interamente a Nashville, in Tennessee, e questo dà una natura amica, non priva di luoghi che creano tensione. La colonna sonora è firmata da Philip Glass (compositore dei pezzi per pianoforte suonati dalla giovane protagonista) e Clint Mansell. Film raffinatissimo, racconta senza fretta e con un’ottima introspezione psicologica dei personaggi, una vicenda in cui dall’inizio molto s’immagina ma che premia con nuovi piccoli colpi di scena lo spettatore che gli dona la giusta attenzione. India è una ragazza taciturna, adora il padre che la porta sempre a caccia, sopporta la bellissima madre, ma con lei molto assente. Nel giorno del diciottesimo compleanno il genitore muore in uno strano incidente da alcuni ritenuto suicidio. In casa arriva lo zio Charlie, fratello minore del padre defunto, un uomo pieno di fascino ma che ben presto si rivela un dark man in grado di varie efferatezze compreso uccidere a sangue freddo chi potrebbe dare problemi a lui o alla nipote. Tra i due nasce uno strano rapporto, quasi morboso, soprattutto quando lei scopre che lo zio le ha inviato centinaia di lettere che i suoi non le avevano mai fatto leggere. Detto questo, è meglio lasciare allo spettatore scoprire come la vicenda finirà. Permettiamoci un solo accenno: il desiderio inconscio della ragazza di assaporare il sangue, delineato inequivocabilmente il rapporto tra la madre, il cognato e la figlia. Nicole Kidman, finalmente all’interno di un personaggio che sente suo, è particolarmente brava e in forma fisica smagliante. Il raffinatissimo attore e compositore inglese Matthew Goode utilizza con estrema bravura le sfumature per raccontare un personaggio fatto di segreti inconfessabili, di passioni travolgenti e di odio senza limiti, il tutto all’interno di una figura umana rimasta intellettualmente infantile. L’australiana Mia Wasikowska, consigliata alla produzione dalla Kidman, offre un volto attonito e spesso incredulo per quello che le sta succedendo che racchiude in sé paura, speranza, amore, odio, preoccupazione per un futuro che lei dovrà accettare senza poterlo disegnare: brava, convincente, da seguire. Il regista, perfettamente coadiuvato dal direttore di fotografia Chung-hoon Chung, dipinge vari quadri di bellezza orientale con attenzione ai minimi particolari ma sa anche donare emozioni belle e mai invasive: si possono descrivere efferati omicidi senza l’uso di sangue e di violenza in primo piano, fatti unicamente immaginare allo spettatore attraverso piccoli particolari. Quello che spesso manca è il ritmo, la capacità di raccontare mantenendo, sempre, acceso l’interesse dello spettatore. E' una dote che questo regista saprà fare sua nelle successive produzioni statunitensi.
