Shame (Vergogna) è l’opera seconda del videoartista inglese Steve McQueen. Di quest’autore abbiamo molto apprezzato Hunger (Fame, 2008) dedicato al martirio del militante irlandese Bobby Sands, morto in prigione in seguito a uno sciopero della fame organizzato per protestare contro la brutalità delle guardie carcerarie della prigione di Belfast verso i detenuti appartenenti all’IRA. Questa volta il panorama è quello della New York dei nostri giorni. Qui vive Brandon (Michael Fassbender, premio per la migliore interpretazione maschile all’ultima Mostra di Venezia), giovane manager di successo, preda di profonde turbe sessuali legate sia all’educazione infantile, sia a un rapporto, quasi apertamente incestuoso, con la sorella.
Il manager riempie nascostamente il suo computer e quello dell’ufficio di materiale pornografico, acquista una grande quantità di riviste osé, si masturba compulsivamente, frequenta prostitute, ma non è in grado di condurre a termine un rapporto sessuale con donne normali. Tenta anche la strada delle pratiche omosessuali e quella dell’aggressione erotica verbale a una giovane incrociata in un bar, ma i suoi problemi rimangono irrisolti e tali saranno ancora alla fine del film, nonostante il trauma causato da un tentativo di suicidio della sorella. E’ un’opera che affronta una matassa psicologica particolarmente complessa, ma tutt’altro che particolare (i siti porno sono fra i più visitati su internet) e lo fa senza schierarsi, ma guardando ai personaggi come a esemplari sottoposti all’esame di un microscopio. Non sono poche le note positive e non mancano le notazioni acute, la sola cosa che lascia perplessi è il vuoto sociale che circonda il personaggio, un vuoto non colmato dalla figura, quasi comica, del responsabile dell’ufficio, un tipo perennemente assatanato, o dalle fugaci apparizioni di prostitute d’alto bordo.