Padre e figlio sono in lutto per la morte di moglie e madre, rimasta vittima due mesi prima di un incidente d’auto. Ora vivono nel più assoluto disordine, accuditi dalla nonna. Passano i giorni, l’adulto, fra confusione e sporcizia, costantemente seduto su un divano a guardare la televisione, il ragazzo a frequentare malvolentieri la scuola – ove è perseguitato da un alunno più grande – e a tentare di recuperare l’auto incidentata che per lui è diventata il simbolo della madre.
Hesher è stato qui del quasi esordiente di lunga esperienza cinematografica Spencer Susser, racconta un lutto la cui elaborazione appare impossibile, ma che sarà portata a termine grazia all’arrivo di uno strano personaggio, mezzo hippy e mezzo teppista. Il tipo s’installa in casa senza troppi complimenti, inizia a scuotere padre e figlio e stabilisce un legame del tutto particolare con l’anziana. Quando questa muore d’infarto, dopo aver fumato hashish, sarà proprio il misterioso personaggio a riportare alla realtà i due squassando il rituale funerario e inducendoli, finalmente, a passare oltre. Non è la prima volta che, al cinema, un personaggio strano e misterioso irrompe nel quieto trantran di una famiglia facendone emergere lacerazioni e scheletri accuratamente nascosti nel fondo degli armadi. Questa volta la presenza dell’intruso funziona come detonatore positivo, rimettendo in moto il procedere della vita. Le intenzioni di regista, qui al primo lungometraggio, e sceneggiatori sono chiare, ma la proposta cinematografica le soddisfa solo in parte. Il dato positivo è nell’ottima prestazione degli attori, quello meno riuscito nel complesso di un racconto che procede a strappi, con non poche ripetizioni e con colpi di scena – ad esempio la parentesi sessuale fra il personaggio misterioso e la giovane cassiera di cui il ragazzo si è innamorato – notevolmente prevedibili e scarsamente efficaci.