Dopo cinque anni di silenzio, Silvio Muccino torna al cinema non avendo capito che l’umiltà è la migliore arma per vincere qualsiasi battaglia. Pontifica, insegna, impone le sue idee e, in questa maniera, irrita ed annoia non poco. Le leggi del desiderio viene dopo i mediocri Parlami d'amore (2008) e Un altro mondo (2010) scritti assieme alla sessantenne Carla Vangelista.
Probabilmente tra loro c’è del feeling, ma questo non si trasfonde nei film. Banalità, inconsistenza, noia assoluta per chi ha voglia di vedere come questo cineasta non sia in grado di essere né un buon regista, né un mediocre sceneggiatore e tantomeno un attore accettabile. Ha migliorato la sua dizione ma spesso capita non si capisca cosa stia dicendo: qualche anno di umile vita da studente in Accademia sicuramente gli avrebbero giovato. Tutto suona di fasullo, le varie storie mai creano un film, la credibilità di molti personaggi è pari a zero. Si salva, con grande mestiere e bravura, Maurizio Mattioli che né i cinepanettoni, né questo regista riescono a trasformare in un mediocre: il suo sguardo melanconico, l’accento romano utilizzato per creare empatia col pubblico, la sua capacità di credere in quello che fa lo rendono uno dei migliori caratteristi italiani. La sceneggiatura è complessa e banale, si sviluppa attraverso troppi personaggi minori appena accennati e poi immediatamente abbandonati; ma anche gli altri non sono certo messi in grado di funzionare, a partire proprio da quello che Muccino si è scritto addosso: è tratteggiato con l’accetta, è antipatico, è incapace di fare provare odio o amore. E’ un trainer motivazionale, un uomo a metà tra psicologo e truffatore che riesce a trasformare i perdenti in persone di successo, o almeno questo è quello che promette nel suo best seller. Per aumentare l’interesse decide, con l’editore, di cercare tre persone da trasformare in sei mesi. Dopo si ripresenterà con loro in televisione il giorno di san Valentino. Tra i tanti falliti decide di seguire un venditore sessantenne senza lavoro con moglie in carrozzina, una cinquantenne segretaria pontificia e autrice di romanzi porno e la collaboratrice e amante infelice del suo editore. Ogni storia si sviluppa nel banale, la donna di mezza età che accetta di rinunciare a tutto per un sogno ma che viene poi accettata nuovamente in casa da marito e figli, l’uomo che vince la sua battaglia ma perde l’amore della moglie, la più giovane che impara a dominare l’amante che si ritira quando potrebbe sostituirne la moglie. Del regista e attore e di Maurizio Mattioli abbiamo già detto. Carla Signoris si trasforma per magia da madre e moglie sottomessa a scrittrice di successo, le basta mettere una parrucca e occhiali da sole. Luca Ward è costretto all’interno del bruttissimo personaggio dell’editore, sicuramente il peggio disegnato ed il più negativo da un punto di vista umano. Nicole Grimaudo si trasforma da amante e collaboratrice succube dell’editore in femmina sadomasochista che lo domina in pochi minuti. Anche il finale buonista non riesce a far dimenticare gli oltre cento minuti di incapacità cinematografica che si è costretti a subire.