La fuga di Marta (Martha Marcy May Marlene) è il primo lungometraggio firmato da Sean Durkin dopo una corposa carriera di produttore, sceneggiatore e direttore della fotografia. Il film è stato presentato al Sundance Film Festival 2011, ove ha vinto il primo premio per la regia. Ha partecipato anche a numerose altre rassegne, fra cui quella di Cannes – Sezione Un Certain Regard – che hanno fruttato alla protagonista Elizabeth Olsen una ventina di riconoscimenti.
La storia raccontata è quella di una giovane irretita da un santone malvagio e violento che capeggia una comunità, vera e propria setta, in cui le donne sono schiavizzate, usate sessualmente dai maschi e i cui membri non disdegnano di svaligiare le case isolate. Dopo una di queste incursioni in cui è stato ucciso l’anziano proprietario, la giovane fugge e va dalla sorella che vive con il marito in una magnifica casa di campagna su un lago. Tuttavia il trauma, durato ben due anni, ha inciso profondamente sulla mente della ragazza che, progressivamente esce di senno. Il finale è aperto: la sorella e il marito accompagnano l’ammalata in una clinica, ma lungo la strada incrociano il santone che non ha alcuna intenzione di mollare la preda. Il film mette in campo uno dei problemi più gravi con cui si deve misurare la società americana: quello delle sette fai da te che spesso sconfinano nel crimine. Del resto basta ricordare la tragica morte di Sharon Tate (1943 – 1969), moglie di Roman Polanski, massacrata con cinque altre persone dalla Charles Manson's Family, un gruppo di fanatici assassini che mescolavano musica e religione, rabbia sociale e velleità creative. Nel film attuale un ruolo di grande importanza è rivestito dalla protagonista, sorella di Mary-Kate e Ashley Olsen, anche lei all’esordio come protagonista. Una giovane attrice che da corpo e animo a una figura dilaniata dal turbine in cui è caduta.
