L'alba del pianeta delle scimmie (Rise of the Planet of the Apes) di Rupert Wyatt è stato presentato, con una buona dose di faccia tosta, come il prequel de Il pianeta delle scimmie (Planet of the Apes, 1968), il film di fantascienza diretto da Franklin J. Schaffner e basato sul romanzo La planète des singes, dello scrittore francese Pierre Boulle (1912 – 1994). Un film commercialmente molto fortunato che può contare almeno quattro sequel: L'altra faccia del pianeta delle scimmie (Beneath The Planet Of The Apes, 1970) di Ted Post, Fuga dal pianeta delle scimmie (Escape From Planet Of The Apes, 1971) di Don Taylor, 1999 - Conquista della Terra (Conquest of the Planet of the Apes, 1972) e Anno 2670 - Ultimo atto (Battle for the Planet of the Apes, 1973), entrambi di J. Lee Thompson, oltre a due serie televisive, una delle quali a disegni animati.
Con simili precedenti è facile capire come il collegamento del nuovo film al capostipite fosse ricco di promesse mercantili. A schermo spento si può dire che i collegamenti sono del tutto pretestuosi, poiché i legami con la saga iniziata oltre messo secolo fa, sono ben poco leggibili sia dal punto di vista estetico sia da quello tematico. In un laboratorio ipertecnologico, controllato da una multinazionale della farmaceutica, si stanno studiando varie medicine una delle quali sembra dare risultati sorprendenti nella cura dei disturbi cognitivi, in particolare quelli causati dall’Alzheimer. I nuovi medicamenti sono sperimentati su scimpanzé che, una volta curati, mostrano un livello di apprendimento sorprendentemente rapido e approfondito. Tuttavia quando il medicinale è sottoposto al vaglio del consiglio di amministrazione, la riunione coincide con una disastrosa rivolta delle cavie, con conseguente decisione di soppressione degli animali sottoposti a terapia. Il capo sperimentatore, il cui padre è stato colpito dalla terribile patologia, porta a casa un cucciolo scampato al massacro e lo alleva per anni. Tenta anche, segretamente, la sperimentazione del farmaco sul genitore, ma gli esiti sono devastanti. In poche parole, gli unici a beneficiare della cura sono i primati, che acquistano, lentamente, consapevolezza del loro stato di cavie martoriate e finiscono col ribellarsi. C’è ben poco a che vedere con il terrore atomico che segnava romanzo e prototipo, ma molto a spartire sia con le possibilità di sfruttamento delle nuove tecnologie – mai viste così efficaci e coinvolgenti come in questo film – sia con un vago senso di riscatto della natura e protezione verso gli animali. In questi limiti il film funziona egregiamente quale esempio di opera d’alta invenzione computerizzata e come prodotto preconfezionato per un vasto pubblico, meglio se non troppo esigente in fatto di coerenza ambientalista. Quasi due ore di spettacolo che non lasciano un momento di respiro, c’è da divertirsi, ma poco da riflettere.