Roberto De Feo è qui alla sua opera d’esordio (o quasi), quantomeno il suo primo lungometraggio che sarà possibile vedere in un circuito tradizionale, con un buon numero di sale coinvolte. Aveva assaporato il successo internazionale, condiviso assieme al co-regista Vito Palumbo, per il corto Ice Scream (2009) che si era imposto all’attenzione tanto da ottenere fiducia da una produzione statunitense per lo sviluppo in lungometraggio. Una lavorazione troppo lunga (terminata nel 2013 la post-produzione, uscita nel 2016) per un film che non è mai davvero arrivato nelle sale. E quest’anno, senza l’apporto di Palumbo, è riuscito finalmente a concretizzare un suo progetto. Solo quattro settimane di riprese concluse a giugno seguite da una post-produzione fatta a tempo record prima di arrivare in anteprima al Festival Internazionale del film di Locarno, proposto in contemporanea un po’ in tutta l’Italia. Guardando il trailer, si ha l’impressione di essere davanti al solito horror con tanto di casa maledetta e oscuri personaggi, ma dopo pochi minuti il film svela le sue vere intenzioni.
Ambientato in una villa isolata, è basato su pochi personaggi che bene si fondono nella scenografia e crea un’atmosfera di disagio, dove ogni cosa appare triste, in cui si capisce che ci sono molti segreti. La figura principale è una madre iperprotettiva del figlio che decide su vita (e morte) di un manipolo di suoi collaboratori che le ubbidiscono senza discutere. L’undicenne è paraplegico, a causa di un incidente (o presunto tale) in cui il padre era morto quando lui era piccolissimo. Obbligo di suonare pezzi classici al pianoforte, divieto di uscire dalla proprietà, frustranti bagni, un medico che gli impone le sue cure, impossibilità di dialogare con gli altri abitanti della villa, un cane come unico amico. Il regista vuole raccontare più una storia familiare anomala che non cimentarsi nell'horror, anche se il finale – che sembra raffazzonato – è tristemente sacrificato ai luoghi comuni più prevedibili di questo genere. Il problema del film è che crea aspettativa nello spettatore di sviluppi, di colpi di scena che mai sono presenti: tutto raffinato, cura quasi maniacale anche nei costumi, ma assoluta mancanza di emozioni. Francesca Cavallin non è sempre convincente, Justin Korovkin è funzionale ma il suo ragazzino triste è poco convincente, Ginevra Francesconi fa della sua acerba bellezza la chiave di una buona interpretazione, il medico di Maurizio Lombardi – che ammette di essere un mostro – offre poco al suo personaggio. Ragazzo costretto su sedia a rotelle vive assieme a sua madre in una residenza isolata circondata da boschi. Con il divieto di allontanarsi dalla dimora, cresce apparentemente protetto ma irrequieto per essere un prigioniero che non può conoscere il mondo. La vita nella Villa è frequentemente sconvolta da avvenimenti strani ed inquietanti; fino a quando, l’arrivo di un adolescente – che diviene una delle cameriere - scardinerà definitivamente gli equilibri della famiglia, dando al giovane la forza di opporsi alle restrizioni imposte da sua madre e di cercare la verità sul mondo che lo circonda.