Piero Messina ha tratto L’attesa da una rilettura de La vita che ti diedi, il dramma di Luigi Pirandello (1867 – 1936) ispirato alle sue novelle La camera in attesa (1916) e I pensionati della memoria (1914). Un testo scritto nel 1923 e messo in scena lo stesso anno al Teatro Quirino di Roma da Alda Borelli.
Nel caso di questo film la storia è quella di una madre ancor giovane che subisce un lutto terribile: le muore improvvisamente (disgrazia, malattia incidente?) il figlio che era venuto a trovarla nella grande villa siciliana in cui lei vive in quasi solitudine tranne l’ambiguo rapporto con un fattore abile in mille cose quanto taciturno. Proprio nei giorni della disgrazia arriva la fidanzata del morto giunta nella grande magione per riconciliarsi con l’amato dopo un non meglio precisato passato burrascoso. La donna le nasconde la morte del fidanzato e inizia con la ragazza un dialogo a mezza strada fra la relazione complice e il tentativo di sostituzione del morto con un’altra presenza viva. Il film è pieno di immagini inutili, come nel punto in cui la camera che segue il filo del telefonino sino alla presa elettrica a cui è attaccato, e sequenze strampalate, come quella del bagno nel lago della ragazza con due giovani, uno dei quali dichiaratamente omosessuale, forse una citazione di Lo sconosciuto del lago (2013) di Alain Guiraudie. In poche parole un film lento e sovrabbondante, pesante nella confezione e ruffiano nell’esaltazione di bellezze e riti isolani giustificati più dalla sponsorizzazione regionale che non dà reali esigenze espressive.