Sarah e Saleem del giovane cineasta palestinese Muayad Alayan, classe 1984, al suo secondo lungometraggio in carriera, è un film che lascia il segno. Ispirato ad una vicenda realmente accaduta, la pellicola ruota intorno alle figure della borghese Sarah (Sivan Kerchner), moglie trascurata di un colonnello dell’esercito israeliano, che gestisce un bar e Saleem (Adeeb Safadi), palestinese, anche lui sposato in attesa di un figlio, di professione panettiere di giorno e fattorino di notte e la cui esistenza è tutto sommato miserabile.
I due, provenienti da realtà profondamente diverse, s’incontrano durante una consegna al bar gestito da Sarah, si piacciono ed iniziano a vedersi clandestinamente, sfidando il destino per incontrarsi di nascosto nel furgoncino che Saleem usa per il lavoro. Per entrambi si tratta di un’evasione da una vita coniugale insoddisfacente, fino al giorno in cui verranno visti nel posto sbagliato al momento sbagliato; da quel momento per entrambi inizierà un vero e proprio calvario, fatto di soprusi, torture psicologiche nonché fisiche e diventando, loro malgrado, per le rispettive fazioni un caso di rivendicazione politica e per le rispettive famiglie dei traditori. È un film forte ma al tempo stesso cupo e tragico, che cerca di raccontare dal basso, attraverso un fatto reale e privato, quale una relazione extraconiugale, le conseguenze tragiche che l’eterno conflitto israelo-palestinese produce sulla vita delle persone. Un film, nel complesso ben costruito e dallo stile narrativo e realistico anche nell'immagine e nel suono, che si suddivide in due parti: la prima imperniata sulla storia d’amore dei due protagonisti, separati oltre che dalle dinamiche familiari di ciascuno, anche fisicamente dal muro che divide la Gerusalemme Est da quella Ovest; la seconda incentrata sulle strategie giudiziarie messe in atto dai due amanti per sfuggire alle terribili conseguenze delle loro azioni. Ciò che manca volutamente al film sin dalla prime battute è la possibilità di una speranza.