Marjane Saprapi e Vincent Paronnaud hanno messo assieme, con Pollo alle prugne (Polet aux Prunes) un bel pastiche stilistico. E’ una coppia di cineasti che viene dal racconto a fumetti e aveva già fornito ottima prova con Persepolis (2007). Marjane Satrapi, in particolare, ha una biografia molto interessante. Nata in Iran nel 1969 è espatriata prima in Austria, poi a Parigi ove vive. La sua è una delle voci più ostili nei confronti del regime clericale che regge il paese, regime di cui le sue storie hanno dato un’immagine particolarmente fosca. Questo nuovo film è ambientato a Teheran nel 1958, quando è ancora vivo il ricordo del tentativo, fallito, di Mohammad Mosadeq (1882 – 1967) di restituire allo stato il controllo delle risorse petrolifere, sino a quel momento appaltate a grandi società britanniche.
Il film racconta una storia d’amore che è anche la metafora del difficile rapporto fra arte e situazioni politiche. Nasser (nome non scelto a caso) Ali Khan è un famoso violinista che ha tenuto concerti in tutto il mondo. La sua vita è segnata dal dolore per il rifiuto del padre dell’amata di dargliela in moglie, preferendo maritarla con un militare anche a costo di renderla infelice. Ora il musicista è sposato con una donna che non ama e che, in un eccesso di rabbia, gli fracassa l’amato strumento. Privato del violino non riesce a trovarne un altro degno della sua arte e decide di lasciarsi morire. La cosa avviene dopo otto giorni in cui rivediamo i più importanti momenti della sua vita, assistiamo al racconto di storie fantastiche, partecipiamo ai momenti più espressivi del suo rapporto con la madre. I registi mescolano i più svariati strumenti espressivi, dal disegno animato, al computer grafica, dal surreale all’iperrealistico. E’ un’opera complessa che nasconde, sotto un’apparente patina di semplicità, un discorso articolato, commuovente, politicamente maturo.