Il figlio dell’altra (Le fils de l'autre) è un film complesso nella scrittura, non sempre logico negli sviluppi ma assolutamente pieno di fascino. Realizzato dalla regista con origini ebraiche Lorraine Lévy è opera di maturazione adolescenziale che si trasforma in dramma politico e sociale. Un diciottenne israeliano appassionato di musica e spensierato come tanti suoi coetanei trascorre serenamente le sue serate in spiaggia attorniato dagli amici di sempre; ha una sorella più piccola, la madre medico, il padre ufficiale che lo aiutano senza troppe imposizioni a trasformarsi in adulto.
A causa della visita di leva, viene fatto l’esame del DNA che esclude lui possa essere figlio di quelli che credeva essere i genitori. La spiegazione è che diciotto anni prima due neonati alla nascita erano stati scambiati e affidati alle famiglie sbagliate. A complicare questa intricata e dolorosa situazione si aggiunge che i veri genitori del giovane sono palestinesi, e a loro volta hanno cresciuto seguendo loro tradizioni il ragazzo israeliano loro affidato per errore. Questa è la base per un film in cui protagonista diviene l’incontro difficile tra due famiglie, che devono mettere in discussione tutta la loro vita sia perché hanno amato un figlio non loro ma che, potenzialmente, per ambedue è un nemico da temere ed affrontare. Questo capitolo è bene sintetizzato da quel muro che divide due mondi, i ricchi dai poveri, i fortunati dagli sfortunati, gli israeliani con un futuro possibile dai palestinesi con una vita senza futuro. Non ci possono e non ci devono essere contatti tra i due mondi così diversi, i militari giorno e notte bloccano qualsiasi tentativo di unire con passaggi non permessi. Tuttavia i ragazzi, a dimostrazione che spesso i problemi vengono creati dagli adulti, riescono dopo non poche difficoltà ad avere una amicizia vera, intensa, importante. I padri osteggiano ogni tentativo di un rapporto proibito dai loro governi e dal loro diverso credo, le madri superano questo baratro per il bene dei loro figli, biologici o cresciuti come tali. Anche il fratello maggiore del palestinese, pur amando quello che riteneva essere sangue del suo sangue, lo teme, lo denigra, si sente tradito. In pratica, è un importante racconto del dramma di chi, senza colpa, si trova a non essere più né israeliano né palestinese in un mondo dove questi opposti sono destinati ad annientarsi reciprocamente. Ben recitato, costruito in maniera solida e non scontata, deve essere apprezzato per i contenuti anche di speranza che aleggiano attorno ai ragazzi. Quello che manca è un vigore narrativo che avrebbe permesso maggiore coinvolgimento emotivo da parte degli spettatori.