Nel giugno del 2013 la regista americana Laura Poitras diresse un documentario, Citizefour, in cui raccontava l'intervista realizzata in una stanza dell'albergo Mira di Hong Kong, insieme ai giornalisti Glenn Greenwald e Ewen McAskill, al contractor della NSA (National Security Agency) Edward Snowden le cui rivelazioni di lì a poco esploderanno in tutto il mondo svelando come gli americani avevano organizzato un meccanismo che consente di spiare miliardi di e-mail, telefonate, contenuti di computer e, più in generale, conversazioni private con il pretesto di combattere il terrorismo, ma con il vero scopo, neppur troppo mascherato, di aiutare le industrie statunitensi.
Questo non solo negli Stati Uniti, ma anche a danno dei loro alleati europei (persino il telefonino di servizio di Angela Merkel era stato violato) creando non pochi imbarazzi diplomatici al di qua e al di là dell’oceano. La reazione del potere Usa fu violenta e il giovane informatico che aveva scoperchiato la pentola fu incriminato per spionaggio e alto tradimento. Uscito dalla Cina trovò rifugio fra le mura del Cremlino ove tutt’ora vive. Il documentario, che ha vinto il premio Oscar 2015 riservato alla categoria, è costruito come un film giallo vero e proprio e la regista riesce a creare e mantenere una tensione che rende ancor più schioccanti le rivelazioni che emergono dalla lunga intervista. Non è la prima volta che un film di questo tipo assurge a un ruolo comunicativo e creativo tanto importante, si pensi al Leone d’Oro alla 70ma Mostra di Venezia andato a Il sacro Gra (2013) di Gianfranco Rosi, ma è sicuramente uno dei casi in cui la creatività si sposa con un preciso impegno politico. Per la regista quest’opera costituisce la terza tappa di una trilogia, i titoli precedenti sono stati My Country, My Country (Paese mio, paese mio, 2006) e The Oath (Il giuramento, 2010), rivolta a denunciare l’involuzione autoritaria della politica Usa venuta dopo 11 settembre 2001.
