John Cameron Mitchell (1963) - attore, sceneggiatore e regista americano - ha tratto The Rabbit Hole (La tana del coniglio) dal testo teatrale omonimo di David Lindsay-Abaire (1969), copione presentato in forma di lettura nel 2005, messo in scena l’anno seguente e che gli ha fruttato il Premio Pulitzer 2007. E’ la storia di un’elaborazione di un lutto, in maniere diverse, da parte dei genitori di un bimbo di quattro anni, morto in un incidente stradale. Becca (Nicole Kidman) e Howie (Aaron Eckhart) hanno appena perso il figlio.
Straziati dal dolore, tentano di uscirne in modi del tutto opposti, il marito finge che nulla sia accaduto, continua a vedere e rivedere i video del bimbo, conserva gelosamente le sue cose e frequenta un gruppo di sostegno ove incontra una donna, dai tratti orientali, che non disdegnerebbe alleviare con lui un dolore del tutto simile. La moglie, invece, si guarda attorno, agisce, coltiva fiori, sbarazza, all’insaputa del coniuge, le cose del figlio, ma si rifiuta di fare all’amore con lui. Tenta persino si andare oltre il dolore, incontrando il ragazzo che era alla guida dell’automobile che ha investito il piccolo. Lui non aveva responsabilità, poiché il bimbo gli si è parato improvvisamente davanti inseguendo il cane di famiglia, ma nonostante questo, continua a essere oppresso da un grave senso di colpa. Si potrebbe dire che è un film fatto di niente ove i fatti sono già accaduti prima che la proiezione inizi, ed è proprio questa mancanza d’eventi a dare spazio al turbine dei sentimenti, alle emozioni profonde. Un film in cui la psicologia riveste un ruolo fondamentale richiedendo agli interpreti prestazioni eccezionali. La è sicuramente quella di Nicole Kidman, anche produttrice del film, che offre una prestazione superba, tale da inserirla di diritto nell’empireo delle grandi attrici.