Bel debutto nella regia di un lungometraggio dell’australiana Jennifer Kent. A sette anni già lavorava come attrice e subito dopo aveva scritto vari racconti pubblicati su riviste. Si è laureata nel millenovecentonovantuno presso l'Istituto Nazionale di Arte Drammatica (NIDA) di Brisbane e ha continuato a lavorare nel mondo del cinema senza porsi altro traguardo che maturare artisticamente.
Vedendo il film, ci si accorge di essere di fronte ad un’opera particolare, interessante, originale che ridisegna vari elementi del cinema da paura non usando mai effetti ed effettacci, visivi o sonori che siano, per creare tensione nello spettatore. Babadook ha un soggetto che sembra simile a tanti altri, ma è la sceneggiatura e la regia che fanno la differenza. È un film horror psicologico in cui una donna e suo figlio sono tormentati da un'entità malvagia. La storia nasce da un cortometraggio, Monster (2005), scritto e diretto dalla stessa regista. Nonostante un’ottima accoglienza al Sundance Film Festival, il film non è riuscito a sfondare forse perché troppo raffinato: niente trash ma per i cinefili forse troppa paura. E' questa la componente che caratterizza tutto lo sviluppo narrativo, a volte si sente quasi un po’ di disagio perché quanto raccontato ha i crismi del possibile, del credibile. Oltretutto, questa mancanza d’amore della madre per il figlio riesce a turbare non poco. Il marito della donna è morto ormai da molti anni e, dopo un periodo difficile, lei è riuscita a fare crescere il figlio bene, pur sempre affrontando grandi difficoltà economiche e psicologiche. Il problema principale, che lei non riesce a gestire e a dominare, è l’incredibile vivacità del ragazzino. Il dramma, il completo cambio di prospettive, l’episodio del non ritorno è l’arrivo in casa di un libro nero e minaccioso, intitolato Mr. Babadook, con favole o, meglio, racconti fin troppo terrorizzanti. Quando la donna se ne accorge, lo toglie dalla circolazione per evitare possa spaventare il figlio, ma il disastro c’è già stato. L’uomo nero esiste davvero, si presenta a loro in maniera drammaticamente invasiva intrappolando madre e figlio nella casa senza la possibilità di chiedere e avere aiuto dal esterno. La chiave del film, la sua bellezza, sta nella notevole conoscenza della psiche umana da parte dell’autrice che crea il senso del terrore utilizzando unicamente le normali reazioni intellettuali dei protagonisti del film.