Il mondo dei monti dei pegni o, come si diceva una volta dei monti di pietà, è un universo torbido in cui prosperano piccoli traffici ai danni di una marea di disperati che tentano di ottenere qualche soldo impegnando Le ultime cose che sono loro rimaste. C’è anche chi, soprattutto in passato, ha fatto ricorso a queste istituzioni per mettere temporaneamente al sicuro beni che altrimenti avrebbe potuto subire danni o la cui custodia, se affidata ad altri canali, sarebbe risultata ben più costosa.
Negli anni ottanta, per esempio, le signore che possedevano pellicce di valore avevano preso l’abitudine di impegnarle all’inizio dell’estate e riscattarle all’arrivo dei primi freddi in modo che fosse il banco dei pegni, istituzione quasi sempre legata ad una Cassa di Risparmio, a curane la custodia. Altri, dall’indole assai meno innocente, erano e sono soliti speculare sulle necessità dei poveracci che ricorrono a queste istituzioni comperando le polizze rilasciate ai depositanti, riscattando i beni e rivendendoli a prezzi maggiorati. Piccoli traffici, contrari alle norme di legge, che spesso si avvalgono della complicità di un qualche impiegato dell’istituzione. Una piccola testimonianza personale. Una trentina d’anni or sono un funzionario della Cassa di Risparmio di Genova, vide nell’esposizione degli oggetti in asta al monte, appendice dalla stessa Carige, un orologio che gli piaceva, ma per averlo dovette far ricorso ad un professionista del controllo dell’asta estraneo sia alla banca, sia agli uffici del Banco dei Pegni. Ottima, dunque l’idea di Irene Dionisio di esordire con un film su questa istituzione in quel di Torino. Meno riuscito lo sviluppo dell’opera, presentata nel programma della 31ma edizione della Settimana Internazionale della Critica. Insoddisfazione che nasce dall’aver puntato quasi tutto sui triboli di un giovane perito che fa il suo apprendistato proprio negli uffici del Monte, sperimentando sulla propria pelle compromissioni, traffici variamente loschi e stabilendo forzatamente un contatto con un’umanità disperata. Una scelta che mette da parte ogni intento di radiografare socialmente un mondo sfaccettato e poco conosciuto. Il che è una mancanza non da poco per una cineasta che viene dal mondo delle videoinstallazioni e dal documentario.