Film tanto interessante quanto un banale nello sviluppo. Disegna il terribile – e disturbante – panorama della società condizionata dai social net, dall’apparire a tutti i costi, da avere amici per potere dimostrare anche a se stessi che si esiste. Un testo amaro, ben costruito nella struttura iniziale, rischia di cadere troppo spesso in momenti da love story, in rapporti di amicizia strappalacrime e in una irrealtà che stride con tutto quanto di buono viene rappresentato.
Il gioco perverso di accettare qualsiasi cosa – si inizia con una ragazza pon-pon che davanti ad immenso pubblico, fatto anche di frequentatori della rete, si volta e fa vedere a lungo il suo culetto nudo – non ha limiti se non nella fantasia degli spettatori che pagano per assistere e possono chiedere qualsiasi cosa ai concorrenti divenuti carne da macello e da cui ottengono qualsiasi cosa guadagnando molto denaro e fama. Ad esempio stare appesi da una gru a 200 metri di altezza di notte – non a tutti va bene – oppure distesi sui binari e farsi passare sopra un lungo convoglio della metrò ma anche guidare a 100 chilometri all’ora su di una moto senza vedere nulla. L’assurdità delle prove ha purtroppo conferma nella cronaca che i mass media ci offrono ogni momento, con situazioni apparentemente illogiche in cui si cimentano persone normali, probabilmente prive di personalità e autostima e che, in questa maniera, pensano di vincere i propri limiti. Nei dialoghi, ogni tanto, c’è qualche frase moralistica in cui si cerca di fare passare il messaggio che questo modo di fare non serve a nulla se non ad autodistruggersi, ma è detto in maniera poco convinta e, nello stesso tempo, demagogicamente fastidioso. Il limite della sceneggiatura è proprio quello di lanciare il sasso ma subito dopo ritrarsi, di non avere il coraggio di portare avanti un discorso di denuncia o, al limite, di proseguire in una storia politicamente scorretta. Peraltro, le ricostruzioni delle imprese al livello di follia sono fatte in maniera credibile, dando adrenalina e, come dicevamo, risultando spesso disturbanti. Henry Joost e Ariel Schulman sono i due giovani registi che fino ad ora hanno dato vita ad una quindicina tra corti e lungometraggi. Hanno fondato la società di produzione New York City Supermarché con cui possono realizzare i loro sogni. Lo scorso anno, oltre a Nerve, hanno diretto il meno interessante Viral, film horror a basso budget, con protagonisti Sofia Black-D'Elia e Analeigh Tipton. I difetti del film - bene interpretato da Emma Roberts e Dave Franco come protagonisti ma anche dai comprimari Emily Meade, Miles Heizer, Juliette Lewis e Kimiko Glenn - non sono da collegare al romanzo scritto dalla brava Jeanne Ryan ma nella sceneggiatura di regista Jessica Sharzer – di cui ricordiamo il più che valido Le parole non dette (Speak, 2004), film da lei diretto – che non è stata in grado di scrivere pensando alle caratteristiche dei due registi. Una studentessa dell'ultimo anno delle scuole superiori, spronata dalla sua migliore amica, icona di un gioco senza regole famoso su Internet, decide di partecipare anche lei al popolare e apparentemente innocuo, gioco on-line Nerve. Ben presto si ritrova coinvolta in una competizione ad alto tasso di adrenalina, in compagnia di Ian, un misterioso e affascinante giocatore. Tutto prende una piega drammatica con missioni sempre più pericolose Per sopravvivere sarà costretta ad affrontare in un duello che potrebbe essere mortale per il suo compagno di avventure di cui si è innamorata.
