Il cinema francese si è stabilmente assestato al primo posto fra le industrie europee del cinema. Se nei decenni passati emergeva con qualche titolo drammatico o poliziesco oggi spazia su un ventaglio di generi ben più ampio.
Un tirchio quasi perfetto del bravo professionista Fred Cavayé rientra nel filone farsesco con il ritratto di un insegnate di violino e concertista musicalmente bravo ma affetto da una forma d’avarizia patologica. Va e ritorna dal lavoro a piedi o sfruttando i passaggi di vicini e conoscenti, in casa sta al buio per non consumare energia elettrica, mangia pochissimo e solo cose scadute recuperate fra le offerte dei supermercati, ha un solo vestito, sfugge alle collette organizzate dai colleghi in favore di prossimi pensionati, s’ingozza prima degli altri ai ricevimenti in cui riesce a partecipare, considera un vero e proprio incubo invitare una ragazza in un ristorante. Insomma qualche cosa di ancor più estremo del classico Avaro (L'Avare ou l'École du mensonge, 1668) di Jean-Baptiste Poquelin (1622 – 1673) detto Molière. Il tutto aggravato dalla menzogna di donare i soldi che risparmia ai giovani ospitati in un inesistente orfanatrofio messicano. La prima parte del film, quella in cui la regia tratteggia manie e vizi del protagonista, è la migliore e la più divertente, nel proseguo il cineasta sembra perdere la bussola e si accontenta di ripetere alcune gag viste prima sino a cadere in un finale zuccheroso.