Il nome di Naomi Watts, attrice innegabilmente dotata e in grado di fornire buone prove, induce la speranza di un buon film, anche di fronte a una produzione a basso costo di area francofona. Invece, Shut In dimostra ancora una volta che la povertà nella sceneggiatura provoca una notevole noia e disinnamoramento del pubblico, aumentato ancora di più se legato ad una inesistente presenza registica. x
Si dice sia ispirato a un qualcosa che Christina Hodson, unica responsabile dello script, abbia vissuto nella sua casa di New York, ma i rumori e le presenze c’erano solo i classici topi che camminano nelle intercapedini delle vecchie case popolari, e che ne sia rimasta segnata. Quello che si può dire, dopo 90 minuti inutili e ripetitivi, è che non abbia saputo condividere con gli spettatori né questa né qualsiasi altra emozione. E’ un film volutamente claustrofobico, girato in una casa lontana da tutto e tutti, sommersa dalla neve, con scene realizzate soprattutto al buio. Tutto questo non è gestito in maniera accettabile dal regista televisivo Farren Blackburn, qui al suo debutto nel lungometraggio. Poco importa del dramma della donna che vive col figliastro disabile – reiterate le immagini in cui lei lo accudisce con attenzione e con un latente sentimento di disagio - ancora meno dei suoi rapporti col mondo fatti quasi unicamente via skype (e Oliver Platt non regge questo personaggio che richiedeva espressività maggiore dato che a lui è permesso unicamente di apparire su di un monitor). Ancora meno il sereno distacco (alias, menefreghismo) dello sceriffo locale di fronte a misteri che non farebbero dormire neppure la persona più scafata. Va detto che, per fortuna, non esistono effetti visivi debordanti, la tensione si crea attraverso i suoni, ma non porte che cigolano, e che il mezzo più utilizzato dal regista per cercare di spaventare è il buio. Situazioni che i cinefili hanno vissuto mille volte raccontati da autori sicuramente più validi e che agli appassionati del horror vero danno fastidio e noia. Una psicologa infantile vive con il marito e il figliastro diciottenne in una landa desolata. Padre e figlio, in continua tensione, partono in macchina e litigano. L’uomo muore a causa dell’incidente stradale provocato dal giovane, che rimane paraplegico ed in stato vegetale. La donna si ferma lì per essere più vicino allo sfortunato e continua la sua attività professionale. Segue un ragazzino molto chiuso, che i suoi capi vorrebbero mandare in città, ma lei – dopo che durante la notte il piccolo l’aveva raggiunta per non sentirsi solo – chiede di poterlo ospitare: durante la notte sparisce. Da qui iniziano gli incubi che porteranno alla scoperta di una realtà molto particolare.