Jennifer Aniston ha fortemente voluto questo film, tanto da divenirne anche produttrice. Stanca di essere valutata attrice simpatica e carina per le commedie interpretate, tutte con happy end come da contratto, ha seguito con grande dedizione le indicazioni del regista Daniel Barnz, conosciuto soprattutto per il drammatico film d’esordio Phoebe in Wonderland (2008) e per Won't Back Down (2012), costruendo assieme a lui un personaggio difficile, lontano dallo stereotipo che le era stato creato dalle major.
Cake vive della sua interpretazione, attenta e molto convincente, anche se con la sua ingombrante presenza rischia di mettere in secondo piano qualsiasi altra cosa. Lei c’è in tutti i cento minuti del film, anche quando non è in scena e, alla fine, questo è più un danno che un pregio, costringendo lo spettatore a vedere una lunga, bella e invasiva prova attoriale in cui tutto, ma proprio tutto, gira attorno a lei. Anche il personaggio della cameriera messicana, autista, giardiniera, badante e unica amica rimastale perde spessore e si carica di stereotipi di vario tipo, con una scrittura del personaggio che ricorda molto quello delle schiave di colore, cuori delle famiglie di cui erano al servizio. La cinquantottenne Adriana Barraza è molto brava ed è l’unica che riesce a guadagnarsi qualche inquadratura interessante: è frustrata, ha una figlia troppo statunitense, vive per il suo lavoro e non stacca mai la spina nemmeno quando torna a casa. Tutto, dalla ricerca dei fantasmi del passato agli affetti, alle paure, agli antidolorifici che divengono (e, forse, sono) vere droghe da cui non ci si può più liberare, suona fittizio ed è affidato all’esteriorità che tanto piace a Hollywood. Quindi, villa californiana con piscina che trasuda ricchezza ma non felicità, la protagonista che urla il suo dolore e che probabilmente paga per avere rapporti con gli uomini; lei è avvocato di successo che non si ferma davanti a nulla, un personaggio non molto amato dal pubblico che aiuta la Aniston ad essere ancora più dura. Siamo di fronte a film da Golden Globe che, giustamente, gli Oscar non li ha nemmeno visti da lontano. Il quarantacinquenne Daniel Barnz dimostra buon mestiere ma non sensibilità, capacità registiche ma non originalità. Quarantenne visibilmente segnata, fisicamente fragile ed emotivamente vuota, soffre di fitte atroci ma col suo egoismo è riuscita a far allontanare da sé il marito e gli amici compresi quelli del gruppo di sostegno per il dolore cronico. L'unica che non le volta le spalle è la governante tuttofare. Il suicidio di una ragazza incontrata durante queste sedute la fa cambiare; la morta le appare continuamente nei sogni e nelle allucinazioni provocate dai farmaci che assume e inizia a provare una curiosità morbosa sui motivi che hanno portato la giovane a compiere un gesto tanto estremo. Arriverà così a insinuarsi nelle vite del marito e della figlia di lei e le risposte alle sue domande avranno davvero inaspettate.