Con Life Itself letteralmente la vita stessa Dan Fogelmanè, noto al grande pubblico come sceneggiatore di Crazy Stupid Love, Cars 2 e Rapunzel, si cimenta nel suo secondo lungometraggio, dopo il buon esordio nel 2015 con Danny Collins-La Canzone della Vita.
La pellicola dipana una storia d'amore multi-generazionale, parlata in due lingue, con a capo due protagonisti: il quarantenne newyorchese Will, abbandonato dalla moglie Abby, che cerca di ricostruire la propria esistenza con delle sedute di psicoanalisi e la figlia ventenne Dylan, frutto dell’amore di Will con Abby, una ragazza rabbiosa ed emotivamente distrutta dall'assenza dei suoi genitori. Due narrazioni parallele solo apparentemente distanti, sia temporalmente che nei luoghi, da un lato le strade di New York, dall’altro una terra di spagna quanto mai patinata, che si intrecciano con altre storie attorno al tema conduttore della fragilità e caducità dell’esistenza umana, che può cambiare in un istante. Il cast pur di tutto rispetto, su tutti Oscar Isaac, Olivia Wilde e Olivia Cooke nei panni rispettivamente di Will, Abby e Dylan, intorno ai quali, ruotano Mandy Patinkin, Laia Costa, Annette Bening e Antonio Banderas, non riesce tuttavia a dare continuità alla narrazione, che scorre veloce, complice la struttura stessa a episodi della pellicola, con toni prevalentemente cupi, mescolati sporadicamente, senza la giusta amalgama a situazioni ironiche e romantiche. Un film apparentemente senza errori e dalle suggestive ambientazioni, ma in fondo troppo complesso, dove riesce difficile a trovare il bandolo della matassa, tra continui rimandi temporali, e dove le storie sono risolte in maniera eccessivamente sbrigativa.